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 2015  dicembre 18 Venerdì calendario

Un giro a Milano con Chris Martin dei Coldplay parlando di vita, ex mogli e musica

«Tranquilli, so quel che faccio». Jackie Jackson, che è la capa della sicurezza di Chris Martin, è perplessa. Il leader dei Coldplay, questa intervista, la vorrebbe fare camminando. «Yes, walking. Do you mind?», ti dispiace?, chiede calandosi il berretto azzurro su occhi e orecchie e stringendosi nel chiodo. No, mi piace muovermi. «Anche a me», aggiunge deciso. «Lo faccio sempre. Da solo, in città, nella natura, ovunque mi trovi: Londra, Los Angeles, Parigi…». È da lì che la rock band inglese arriva. Si esibiranno tra poco sul palco della finale di X Factor. Nella brughiera milanese, così immersa nella nebbia da sembrare piuttosto un romanzo di Sherlock Holmes. «O magari uno di quei film ambientati nella Seconda guerra mondiale…». Già, tipo Salvate il soldato Ryan. «Rilassatevi, so bene quel che faccio», ribadisce la rockstar a una rassegnata Jackie e ai collaboratori. Non deve essere facile tenere questo ragazzo di 38 anni alto e determinato, che comincia a camminare spedito, quasi a passo militare. «Non ci perdiamo, tranquilli. Non mi succederà niente».
Si va. Fuori dai cancelli del Forum di Assago, nella foschia densa e bagnata, Martin imbocca sentieri sconnessi, oltre i parcheggi. «Cammino, talvolta, e mi arrivano le canzoni. Oppure mi siedo, in piena notte, al piano o con la chitarra. Le sento arrivare nella mia testa, le lascio fluire fuori». A head full of dreams, (una testa piena di sogni), il nuovo album, prima ancora di uscire, una decina di giorni fa, era già primo nelle prenotazioni in 85 Paesi. «Certe volte puoi stare lì a suonare per ore, e non viene niente. Altre, senti una canzone che ti chiama: è come pescare un pesce. Ecco perché c’è chi dice che bisognerebbe firmare solo le canzoni “cattive”: quelle che scrivi con la tecnica. Quelle buone vengono fuori da qualche altra parte. Magari durante un’improvvisazione con il resto della band. Comunque, ti dicono sempre loro, dove andare. In questo album, dal punto di vista delle parole, quella che dà il titolo a tutto il cd e l’ultima – Up & up – hanno, in particolare, il potere di resettare il modo in cui guardo il mondo ogni giorno. Quando mi sento depresso, o magari arrabbiato, le canto, e l’intera visione cambia».
Ci addentriamo in mezzo al nulla, o quasi. Camminiamo sempre più spediti. «Il titolo: spesso le canzoni comincio a comporle da lì». Incrociamo qualche spettatore ritardatario: non hanno nemmeno il tempo di riconoscere il leader dei Coldplay, che tra poco vedranno sul palco. «C’era questa musica che mi stava venendo fuori, al piano, e mi piaceva molto, aveva qualcosa di Bonnie Raitt, la conosci?». La cantante blues-country americana. «Già, ma non aveva un titolo: quindi non sapevo dove “andasse” a parare. Però stavo cercando di scrivere un brano sull’emozione che ti prende quando qualcuno muore, o qualcosa nella vita finisce. Provi tristezza, ma talvolta anche joy, gioia. Una mattina ero in acqua, davanti alla spiaggia di Santa Monica, e c’era quest’uomo con un passato da militare». Martin è un appassionato surfista: ma in realtà, in California, s’è trasferito “seguendo” l’ex moglie, la star di Hollywood Gwyneth Paltrow – da cui si è separato nel 2014 scorso dopo una dozzina d’anni insieme –, e soprattutto i figli, Apple e Moses, 11 e 9 anni. «Home, casa, per me è dove sono loro. Dusseldorf? Dusseldorf. Los Angeles? L.A. Hai figli?». Due ragazze. «Allora sai di che cosa parlo», conclude. E continua, accelerando al limite della corsa. «Beh, c’era questo ex marine che ha avuto una vita davvero folle». E lì, seduti sulla tavola uno accanto all’altro, ne condivideva con lui un frammento. «Parlava di qualcosa che aveva vissuto all’estero, e se n’è venuto fuori con questa parola: everglow. Se l’è inventata mettendo insieme due delle mie parole preferite». Ever, sempre, glow, risplendere: ciò che resta alla fine di qualcosa di bello. «Mi ricordava anche un bel brano dei Foo Fighters, Everlong. L’ho presa, e la canzone mi è venuta subito, in un fiato».
Il graffito all’improvviso. Ed è proprio questo il nuovo, coloratissimo spirito del gruppo nato nel ’97, al 7° album dopo il boom planetario di Parachutes, nel 2000, e 80 milioni di dischi venduti. Segue Ghost Stories: un cd che per molti aveva rappresentato la”convalescenza” del cantante dopo la separazione, annunciata con un post della coppia, quel “conscious uncoupling” (separazione consapevole) che ha fatto il giro del mondo. «Dovevamo passarci, attraverso quelle canzoni intimiste, “piccole”, misurate, per poter arrivare ora alla libertà di questo nuovo album: siamo entrati in studio pensando solo a fare la nostra musica. Per divertirci. Senza preoccuparci. Senza pensieri reconditi. Siamo noi, al 100%. E sì, è una liberazione. Ho, abbiamo capito che non dobbiamo piacere a tutti per forza. Quando ero più giovane non ero così. Ma se riesci a lasciar correre… ti senti finalmente libero. Ci sono molti ristoranti, sulla strada, e la gente ama diversi tipi di cibo. Con la musica è la stessa cosa».  
Nel buio ci segue a distanza solo Francesco, un ragazzo della security: non si sa mai. Eppure sembra quasi che Chris voglia seminarlo. Voi Coldplay siete fra le poche band che hanno resistito alle “intemperie”, nel tempo. «Sai, ricordo ancora quando ci siamo incontrati, all’University College di Londra». Lui, che arrivava dalla campagna di Exeter, si era iscritto a Lettere classiche: «Chissà poi perché: forse volevo seguire le orme del mio migliore amico, Phil Harvey. Ma io ero meno bravo, mi misero nella classe “principianti” di latino. Ancora adesso gli “vado dietro”, è il manager della band». Poi ci fu l’incontro con i ragazzi. «Ce l’ho ancora chiaro in mente: entrai in quella stanza, al college. C’erano ragazzi che fumavano spinelli e Jonny (il chitarrista della band, ndr) che suonava. Clic». Fa schioccare le dita. «Ecco ciò che ho sempre voluto fare, pensai ascoltandolo. Certo, “sempre” era relativo, a 19 anni. Ma mi dissi: con lui puoi fare qualcosa di più grande di te. Ed è ciò che penso ancora di noi quattro», sorride, aggiustandosi il cappellino. Se hanno resistito, ovviamente, è perché sono «ancora amici». «Ma diciamo la verità: è stato semplice perché non abbiamo mai litigato per i soldi e per i “credit” (l’attribuzione delle canzoni, ndr). Ogni brano, ogni concerto: dividiamo tutto. E firmiamo sempre insieme. Quando guardiamo alla storia delle band, vediamo che la fine inizia quando si comincia a discutere per queste cose». Qualche modello positivo? «Senz’altro gli U2: lavorano sempre gli uni per gli altri. Non c’è un capo, fra loro».
Chris un po’ lo sembra, in effetti... Ma i Coldplay hanno mantenuto bene il punto. «Never give up è la grande lezione che mi ha dato mio padre». Mai mollare. «Nel senso: metti a fuoco il tuo obiettivo e cerca sempre di raggiungerlo, comunque». E cosa vorrebbe insegnare, lui, ad Apple e Moses? E qui succede qualcosa che un semplice giornalista non può spiegare. Una cosa da film. Camminando a caso nella verzura lombarda, in questo preciso istante, Chris alza la testa, spalanca gli occhioni azzurri e indica un graffito fatto con lo spray blu su un muretto, davanti a noi: “Believe”, c’è scritto. «Credete!». Se la ride: «È tutto qui. Il cervello umano è così potente: se diciamo a noi stessi di fare qualcosa, le possibilità di riuscire saranno altissime. Pensa a Leo Messi». Il campione del Barcellona. «Quando era bambino, gli dicevano che era troppo fragile, e piccolo. Lui invece ha creduto in se stesso, ed è diventato ciò che è».
Il cantante non rallenta. Siamo arrivati al piccolo campo sportivo comunale di Assago. Dietro i vetri appannati della palestra, due squadre di allievi in canottiere verdi e rosse si affrontano a basket mentre i genitori fanno il tifo. Qual è la cosa più divertente che fa con i suoi figli? «Tante. Cantare, per esempio. Ma ci siamo divertiti molto con un gioco che si chiama “silent disco”: tutti i partecipanti indossano una cuffia, collegata al computer, e si balla in giro per la casa, senza che, chi sta intorno, senta la musica».
La poesia del mistico sufi. Io ormai mi sono perso: giriamo, soli, intorno a una pista di atletica. Sicuro di riuscire a tornare indietro? «Sicuro», sorride Chris. Una volta ha detto che occorre sempre sapere da dove si viene. «Intendevo dire che non si può mai fingere. E infatti io non canto mai nulla che non senta profondamente autentico. Mio». In questo album, il poeta americano Coleman Barks interpreta la poesia di un mistico persiano del ’300, Rumi, The Guest House, la casa dell’ospite. “L’essere umano è come un ostello/ Ogni giorno c’è un nuovo arrivo/ La gioia, la tristezza, la meschinità/… Accoglili e dai a tutti il benvenuto”: è vero che le ha cambiato la vita? «Questo poema mi ha fatto capire come si fa a consentire a se stessi di avere emozioni, sentimenti, senza essere controllati da loro. Tutti gli esseri umani si alzano al lunedì con uno stato d’animo, al martedì con un altro… In passato mi sono sentito spesso sopraffatto, intrappolato. Rumi, che ho scoperto grazie a un amico iraniano d’America, il dottor Habib (un consulente-guru di molte star, a Hollywood, ndr), spiega che siamo fatti di tutti i colori, e che depressione o felicità sono solo ospiti nella nostra “casa”: così possiamo andare avanti nella nostra giornata. Per me è stato molto utile. Sì, anche quando il mio matrimonio è finito: è qualcosa che sta accadendo – mi ha insegnato – perché resistere? Affrontiamolo… E pure oggi mi è utile».
Oggi oggi? «Sì: mi fa male la schiena (ecco un’altra ragione per cui non stiamo seduti in attesa dell’esibizione…, ndr), leggiamo sulle news tutte le cose terribili che accadono… Dieci anni fa, avrei pensato: “Non ce la faccio ad andare avanti, è troppo. Non possiamo fare niente per migliorare il mondo, le nostre vite...”. Adesso invece cerco di capire: che per stare meglio magari devo vivere una vita più disciplinata, nell’alimentazione o nell’esercizio fisico; ragiono sul perché in Siria accade ciò che accade, e sulla ragione per cui i giovani aderiscono ai gruppi radicali…». È un mondo parecchio complicato. «Ma, sia pur lentamente, migliora rispetto al passato: c’è meno schiavitù, meno povertà, meno razzismo di un tempo». Starnutisce: l’umidità comincia a entrare nelle ossa.
Sebbene se non si veda più niente, comincia a essere più chiaro perché, nel nuovo album dei Coldplay, Chris Martin ha riunito tutti. Gwyneth Paltrow canta in Everglow, i figli in altre canzoni, e poi amici vari, e c’è pure la sua nuova ragazza, l’attrice inglese Annabelle Wallis (ha recitato ne I Tudors): «Galleggiamo tutti in questa vita, su questa roccia che è la Terra, nel mezzo dello spazio siderale. Non voglio avere nemici: facciamo tutti del nostro meglio». Mi prende per un braccio: una macchina apparsa all’improvviso rischiava quasi di investirmi. Come ha chiesto alla sua ex moglie di cantare? «Quando suo padre è mancato, 14, no, 13 anni fa, lei mi disse: “Com’è strano: quando perdi qualcuno, il tuo mondo è diverso, mentre quello intorno continua a girare normalmente”. Mi colpì. In Everglow ci sono due versi che parlano proprio di questo e le ho chiesto: perché non li canti tu?».
Ci sono anche collaborazioni importanti, come i Coldplay non avevano mai fatto. «Ognuno per una ragione precisa: a cominciare da un amico come Noel Gallagher, l’ex Oasis (la band simbolo del Brit Pop anni 90), un gruppo con cui sono cresciuto, che per me è il perfetto esempio di come un gruppo di persone normali possano fare qualcosa di straordinario». Poi c’è Beyoncé, la grande popstar texana: fa la vocalist… «La conosco da un Mtv del 2003. Lei è la prova di come un talento, che è un dono del Signore, sappia esercitarsi duramente: dimostra che tutto è possibile. L’ho chiamata e le ho chiesto: ci aiuteresti? In alcune canzoni è come se si parlasse dell’intervento di un angelo. Vuoi esserlo tu? Mi ha detto semplicemente: “Sì”». Disciplina: ma è vero che c’è anche il digiuno, fra le sue “fonti di ispirazione creativa”? «In un certo senso». Cioè? «Quando ero ragazzo, ho letto che Michael Jackson digiunava la domenica. Che roba strana, pensai. Un anno e mezzo fa non mi sentivo bene, e un amico mi suggerì: prova a non mangiare per un paio di giorni. L’ho fatto, e mi sono sentito meglio. E quando ho ricominciato a nutrirmi – wow! – è stato un trionfo di piacere. Così ho continuato, un giorno alla settimana, da più di un annetto. Mi fa sentire benissimo, e ri-sento i sapori in un modo incredibile… Il mio piatto preferito? Il “calzone”! Ma ho 38 anni, e un album appena uscito: non posso esagerare».
Prima di rientrare, riavvicinandoci, quando le luci livide del Forum cominciano a prevalere sulla foschia, Chris Martin si ferma. «Vedi, questo è un esempio perfetto di quella che è la mia vita. Da una parte sono immerso nella natura, sotto la volta del cielo. Ma ora andrò sul palco, con gli altri della band, a suonare davanti a milioni di persone. È un continuo passare da una dimensione a un’altra». Come fa a gestire le due realtà? «Cerco di stare in mezzo. Senza oscillare continuamente,  senza cadere».