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 2015  dicembre 18 Venerdì calendario

Sull’ignoranza finanziaria degli italiani. Solo il 40 per cento ne capisce qualcosa

La domanda suonava più o meno così: «Immagini di avere cento euro depositati su un conto di risparmio e che la banca aggiunga il dieci per cento all’anno al totale. Quanto denaro hai sul conto dopo cinque anni se nel frattempo non ritiri un solo euro?» C’erano quattro possibilità: esattamente 150 euro; meno di 150 euro; non lo so; nessuna risposta. Bastava scegliere una delle opzioni e fare una crocetta.
I risultati hanno disegnato il profilo di un Paese schizofrenico. Voglio dire: letteralmente schizofrenico, nel senso dell’etimo greco della parola. Abbiamo menti “separate”. In sostanza noi italiani siamo fra le nazioni a più alto tasso di risparmio dell’Occidente, una delle società più patrimoniali al mondo, ma dimostriamo un livello di educazione finanziaria da Paese povero. Non solo al di sotto della soffertissima Grecia. Anche sotto il Sud Africa, la Russia e per certi aspetti – tra poco mi spiego – nei pressi della Colombia.
Il test. La domanda che riporto qui sopra fa parte di un questionario distribuito in decine di Paesi dalla McGraw-Hill, un grande gruppo americano che si occupa sia di servizi finanziari che di editoria dell’istruzione, per misurare l’alfabetizzazione finanziaria in decine di Paesi del mondo. I test di competenza finanziaria coprivano quattro settori in particolare: la capacità di capire gli effetti dell’inflazione negli anni, l’accumulo degli interessi (di cui sopra), l’effetto semplice di un tasso d’interesse sui calcoli di convenienza e la diversificazione del rischio (del tipo: è più sicuro mettere tutte le tue uova in un paniere solo o in più panieri?).
I risultati, francamente, inducono a porsi serie domande sul percorso che l’Italia ha davanti e sé e aiutano a capire come mai in questo Paese si ripetano regolarmente truffe finanziarie di massa e episodi di “risparmio tradito” del tipo di quello che vediamo oggi attorno a Banca Etruria, Banca Marche ed altre. Non fraintendetemi. Non voglio dire che gli italiani non sanno nulla di finanza e dunque meritano di essere raggirati, o almeno se lo dovevano aspettare. Il dramma è che è vero il contrario: il problema di fondo per un Paese che si affida tanto al risparmio, che mette la sua tutela nella Costituzione, è che nessuno si è mai fatto carico dell’istruzione finanziaria. Non le banche o le assicurazioni, non i media (autocritica), soprattutto non il sistema scolastico. È una questione seria da affrontare al più presto.
I dati, mi spiace, non lasciano scampo. Non è solo che in Italia solo il 40% circa degli adulti sono considerati “alfabetizzati” finanziariamente (Germania, Gran Bretagna e Olanda sono intorno al 70%). Né solo che l’Italia in questa graduatoria risulta di gran lunga ultima fra i Paesi del G7, le sette grandi democrazie industrializzate del mondo, o che solo la metà delle famiglie con un mutuo per la casa mostri un adeguato livello di istruzione finanziaria. Ci sono anche i giovani, il che è anche più importante. Nei test condotti nelle scuole superiori dall’Ocse in diciotto Paesi nel 2012, l’Italia risulta penultima appena sopra la Colombia. Più di metà dei ragazzi del nostro Paese registrano il punteggio più basso in alfabetizzazione finanziaria, livello 1 su 5; meno di uno su cento ha il livello più alto e in entrambi i casi sono i risultati più estremi al mondo.
Possibile? Non dovrebbe esserlo. In rapporto al reddito disponibile, cioè a quanto una famiglia può effettivamente spendere dei suoi proventi in un anno, l’Italia è fra i primi Paesi al mondo. Secondo la Banca d’Italia la ricchezza netta delle famiglie è cresciuta fino a più di otto volte il reddito disponibile delle famiglie, con incrementi persino durante alcuni anni della Grande recessione. In questo siamo centinaia di miliardi sopra la Germania o la Gran Bretagna.
Per questo l’Italia è un Paese – etimologicamente – schizofrenico. Bisognerà trovare la medicina per curarsi ed essa ha un solo nome: istruzione. Una responsabilità di tutti, a partire dal governo.