La Stampa, 18 dicembre 2015
Come cambia (e cresce) la Cassa Depositi e Prestiti con 160 miliardi
Non è una nuova Iri, come ci tiene a sottolineare Pier Carlo Padoan, di certo qualcosa di molto più grande e diverso dalla vecchia Cassa depositi e prestiti. Il piano industriale 2016-2020 della Cdp affidata al tandem Costamagna-Gallia sarà un braccio pubblico capace di fare sempre più cose, con 160 miliardi di euro di risorse proprie più altri cento miliardi (sulla carta) fra fondi nazionali, internazionali ed europei, pubblici e privati.
Ai più la sigla dice poco, eppure si tratta della cassaforte del risparmio postale, partecipata dalle Fondazioni bancarie, oltre che il più importante e invisibile investitore pubblico italiano. Ha un’enorme sede di fianco al Tesoro, dal Tesoro è controllata al cento per cento ma con una gestione autonoma, ma ha l’enorme vantaggio di poter investire senza doversi preoccupare del livello del deficit: come le altre grandi cugine europee (la francese Caisse de Depot e la tedesca Kfw) sono fuori dei conti nazionali. La Cassa compra, vende e affitta immobili pubblici, concede prestiti e mutui ai Comuni, cofinanzia infrastrutture, salva imprese in difficoltà, ne finanzia di nuove, tiene in pancia quote importanti di ciò che resta delle grandi aziende pubbliche. Non produce panettoni, per statuto non può investire in perdita, ma alla domanda su quali siano gli obiettivi di profitto della Cassa per gli anni a venire, il nuovo amministratore delegato Fabio Gallia si mantiene prudente, a dimostrazione della missione smaccatamente pubblica. Insomma, nei piani della Cassa c’è un pezzo di politica economica del governo.
Le aree di intervento saranno essenzialmente quattro: supporto alle istituzioni governative e agli enti locali (il piano prevede di investire 15 miliardi di risorse, +22% sul precedente), investimenti immobiliari (3,8 miliardi, +110%), infrastrutture (24 miliardi, +23%), imprese (117 miliardi +73%). La nuova Cdp promette sostegno al venture capital, alla innovazione e alla crescita, internazionalizzazione e rilancio delle aziende. La novità più importante è il ruolo di «Istituto nazionale di promozione», ovvero potrà attingere ai fondi previsti dal piano Juncker (otto miliardi potenziali) ma anche muoversi con ancor più autonomia per cofinanziare progetti con fondi di investimento (pensionistici o di private equity), compagnie assicurative e le Fondazioni bancarie, azioniste della stessa Cassa. Il Fondo strategico, una delle sue controllate più importanti, cambia volto. Le quote della società per la banda larga (Metroweb), le infrastrutture dell’energia (Saipem), di Sia e Ansaldo Energia, e probabilmente di Eni finiranno in un portafoglio diverso dedicato alle «partecipazioni stabili». Ci sarà anche una Sgr «per gli interventi a supporto della crescita delle aziende».
Infine il capitolo più spinoso: Telecom. Da mesi le indiscrezioni raccontano che l’ex consigliere di Renzi Andrea Guerra progettava l’acquisto di una quota per portarla in dote a un concorrente più grande. Costamagna non esclude nulla e tiene a dire che sulle partite più delicate le cose «prima si fanno, poi si annunciano e semmai si commentano, in Italia di solito si fa il contrario». Il neopresidente ricorda che nel frattempo Metroweb sta lavorando con Telecom e gli altri concorrenti su un piano per cablare 250 comuni, quelli in cui l’investimento può essere profittevole. Per le aree più difficili c’è invece il piano di cablaggio di Enel.