La Stampa, 18 dicembre 2015
Ma l’intesa non piace alle brigate dell’Ovest. E l’Isis avanza
Da Tobruk il bicchiere appare per nove decimi pieno, da Tripoli per tre quarti vuoto. Ed è questo l’ostacolo maggiore alla formazione del governo di unità nazionale che dovrebbe vedere la luce entro un mese. E, proprio perché le fazioni contrarie più forti gravitano attorno alla capitale, il secondo grosso problema sarà trovare una sede al nuovo esecutivo. Difficile pensare che Tripoli sia messa in sicurezza in tempi così brevi.
La svolta finale è avvenuta a Tobruk. Facile pensare che la città della Cirenaica si offra ancora come luogo sicuro, anche se provvisorio. «Solo una piccola parte del Parlamento di Tobruk (Hor) è rimasta scontenta – spiega Mohamed Eljarh, analista libico dell’Atlantic Council, basato in città -. E nessuno ha interesse a sabotare l’intesa». Il passo decisivo è stato il colloquio fra l’inviato dell’Onu Martin Kobler e il generale Khalifa Haftar, martedì. Il capo delle forze armate ha ottenuto che un suo uomo, Ali Al Qutrani, sia uno dei futuri vice-premier, a garanzia che il suo ruolo «nella guida della guerra contro gli islamisti non sia messo in discussione».
Anche se il presidente Aguila Saleh non ha voluto sottoscrivere l’accordo, a Skhirat per la firma sono arrivati ben 80 deputati dell’Hor (Tobruk) su 156, e solo 50 su 136 del Gnc (Tripoli). Più sostanziale è quindi il mancato sostegno del presidente del Gnc, Nouri Abusahmain. Appoggiato dai Fratelli musulmani, Abusahmain deve fare i conti con il niet di Abdelhakim Belhadj, leader del partito Hizb al Watan, ma soprattutto ex combattente di Al Qaeda in Afghanistan e Iraq.
La componente islamista della coalizione Alba Libica, che controlla militarmente Tripoli, è il problema principale. Oltre agli uomini di Belhadj, c’è la potente Abu Salim Martyrs Brigade, e poi quasi la metà delle brigate di Misurata, vera superpotenza militare nell’ovest della Libia (contrarie all’accordo sono Al Haraka, Al Issar, Badr, Al Rabita; favorevoli Al Halboos e Al Mahjoub). Quindi se anche più di metà dei deputati di Tripoli fossero per l’intesa, non avrebbero la forza per imporla.
La mezzaluna del petrolio
Nel gigantesco vuoto politico e militare l’Isis si sta espandendo a velocità impressionante e con una strategia ben chiara. Dopo essersi trincerato a Sirte e aver respinto la poco convinta offensiva delle forze moderate di Misurata, gli islamisti si sono impiantati molto più a Est, ad Ajdabiya, a circa 150 chilometri da Bengasi. L’operazione punta a circondare la «mezzaluna del petrolio» nel Golfo di Sirte, dove ci sono i più importanti giacimenti e porti petroliferi.
Per questo da due giorni l’esercito nazionale libico, guidato da Haftar, bombarda le postazioni islamiste ad Ajdabiya (13 morti solo ieri) e Bengasi. Ma è chiaro che non ce la può fare da solo. Haftar ha bisogno di consolidarsi nell’Est, anche perché la nuova struttura istituzionale, con tre vicepremier, è «di fatto federale», con una divisione fra Tripolitania, Cirenaica e Fezzan (al Sud). Chi avrà il pieno controllo della sua fetta sarà il vero leader della nuova Libia.