Corriere della Sera, 18 dicembre 2015
Nasce la fondazione Parise-Fioroni, un archivio d’arte e d’amore
Un cuore, due nomi: Goffredo Parise e Giosetta Fioroni. Sotto, accanto a una simbolica scala che porta a un cielo pieno di stelle, una parola che evoca un mondo di esistenze e memorie: archivio. Nasce con questo logo semplice, disegnato dalla mano di Giosetta, la fondazione Parise-Fioroni, che non è solo una nuova istituzione culturale, ma il luogo di due universi che continuano a parlarsi senza tregua. Lo studio di Giosetta Fioroni a pochi passi dal carcere di Regina Coeli è un mondo elegante e silenzioso in cui la presenza di Parise è costantemente evocata da dipinti a olio, fotografie, copertine di libri. Il mondo di Giosetta, l’amore della sua vita, è tutt’ora parte della sua esistenza quotidiana. La loro è una storia appassionata, intensa, tormentata. Unica. Che vive sospesa nel tempo, nelle tele dipinte con l’argento di Giosetta e nelle pagine dei Sillabari o de L’odore del sangue di Goffredo. Certo, quasi a testimoniare che il tempo scorre e la vita crea nuovi mondi, ci sono le nuove grandi colorate tele, le ceramiche con i suoi amati cani, i presepi che compongono la nuova mostra che si apre il 23 al Madre. Ma gli affetti profondi richiedono una celebrazione attraverso un’immagine, un frammento di lettera, un ricordo in forma di disegno o semplice appunto. Così, il ritratto di Goffredo è accanto a quello di un grande amico, Mario Dondero, che dalla parete ci guarda curioso, sorridendo dolcemente. E pare di sentire la sua voce. Giosetta Fioroni è seduta in un angolo dello studio, elegante in un lungo vestito colorato. Sorseggia lentamente un tè. Ha davanti a sé un foglio. Perché questa Fondazione, chiede a voce alta: «Il 31 agosto del 2006, ricorrenza della morte di Goffredo Parise, io gli scrissi una lettera. Goffredo era morto da 20 anni. La lettera iniziava così...». L’artista prende in mano un foglio e comincia a leggere con voce bassa, scandendo le parole. È emozionata: «Caro Goffredo, ieri ho avuto l’impressione che tu fossi “presente”, seduto vicino a me qui nel giardino della casa in Maremma. Fumavi una sigaretta, come durante tutta la tua vita. Anche nel 1963, quando sedevi al caffè Rosati in piazza del Popolo, e io ti conoscevo solo di vista e tu mi guardavi un po’ sornione e un po’ sfottente, il tuo sguardo “arrivava” attraverso una o più nuvolette di fumo. Io guardavo i tuoi capelli: avevi 34 anni e una movimentata capigliatura di folti riccioli neri dai riflessi blu. E il naso? Un importante becco di carne, pronunciato, aquilino, che faceva pensare a possibilità olfattive speciali, come tu in realtà avevi». Giosetta si ferma. Fa un lungo respiro. E continua: «C’era un lato sombre, saturnino, dolente, nella tua natura, forse presago della vita troppo breve, di soli cinquantasei anni. Tutto questo però ti permetteva solo a sprazzi una relativa felicità e rapidi momenti di “burlesca” gioia infantile. Nel 1949 (a 20 anni) parti per Vienna. La città è un cumulo di macerie, di crolli. È inverno, le strade nere, lucide di pioggia. In questo scenario una troupe sta girando un film: Il terzo uomo,il regista è Carol Reed. Un ragazzo solo, vestito di nero con un sentimento teatrale e magico vede “agire” alcuni personaggi. Un corteo di maschere finalizzato alla genesi del Mistero. L’estrema gioventù, il talento... ti permettono una pratica-divinatoria. L’atmosfera, il mood di quanto incontri a Vienna diventa la materia per il tuo primo libro: Il ragazzo morto e le comete». Questa lettera, continua la Fioroni, terminava così: «Caro Goffredo, oggi è il 31 agosto 2006 e io non ti vedo da venti anni, dall’agosto ’86. Ma devo dirti che l’immagine della tua persona, eccentrica e solitaria, è al centro del mio cuore e della mia memoria. Così la tua originalità, la tua ironia, il tuo essere lunatico, impertinente, a volte insopportabile, ma sempre imprevedibile... e mai, dico mai, un solo minuto noioso. Averti incontrato rimane l’evento centrale e felice della mia vita. Da allora, da quando sei sparito, ho il sentimento di una cesura, di un’amputazione: il vuoto-di-te è costante e mi perseguita». Giosetta Fioroni si ferma e sorride con la malinconia di chi sa che nessuno potrà capire davvero la densità di quell’amore: «Questo ricordo di Goffredo è vivo in me ancora oggi. Nel 2016 saranno 30 anni dalla sua morte e noi abbiamo passato il centro delle nostre rispettive vite, 26 anni! Non sono mancati problemi, tradimenti, discordie e grande dolore. Ma è rimasto un legame, credo il più forte per tutti e due, che ci ha sempre riunito fino all’ultimo periodo della sua esistenza». «La fondazione avrà come presidente Francesco Adornato, preside della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Macerata e come direttore artistico Piero Mascitti, direttore anche della Fondazione Rotella», precisa l’artista. Il mondo della letteratura e degli affetti trova una voce nei soci onorari: Raffaele La Capria, Ermanno Rea, Silvio Perrella, Emanuela Basti e Vincenzo Rosanò. Improvvisamente Giosetta Fioroni si alza, cammina silenziosamente nel suo studio tra le sue ultime opere. Poi aggiunge: «Il nostro era un sentimento profondo di “congiunzione”, di vera affinità elettiva, di naturale e felice condivisione su ogni cosa. Questa è stata la nostra vita. E per questa ragione mi è venuto spontaneo associare, oggi, il mio nome a quello di Goffredo per celebrare l’unica vera attività della nostra vita: l’Arte». E mentre parla del valore della memoria e della sua irripetibile e straordinaria esistenza è come se d’improvviso nella sua mente affiorassero le parole del suo Goffredo: «La poesia va e viene e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti. Mi dispiace ma è così. Un poco come la vita, soprattutto come l’amore».