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 2015  dicembre 18 Venerdì calendario

Sgarbi operato d’urgenza al cuore la scorsa notte. «Capre, sono ancora qui»

Riccardo Bruno per il Corriere della Sera
Il figlio Carlo entra in stanza e lo prende in giro: «Dillo che è una sceneggiata». Papà Vittorio Sgarbi risponde scherzando anche lui, ma sa che in fondo è la verità: «Se continuavano a viaggiare in auto, sarei morto a Roncobilaccio». Mezz’ora in più poteva essere l’ultima per il critico d’arte, 63 anni, ex deputato, ex sottosegretario, polemista e provocatore sempre, anche sul letto del reparto di terapia intensiva del Policlinico di Modena. «Sono un Pino Daniele mancato» dice. Stava viaggiando nella notte da Brescia a Roma. «Ho sentito un dolore forte al petto e al braccio. Non passava, ho pensato che era meglio farsi controllare subito». È arrivato al Pronto soccorso alle 4 del mattino. La diagnosi: ischemia del cuore. Subito è stata allertata l’equipe del Laboratorio di emodinamica del Policlinico. Quaranta minuti d’intervento di angioplastica, senza anestesia. Quando tutto è finito Sgarbi ha chiesto: «Ora posso andare via? Ho mille impegni». I medici per tutto il giorno hanno fatto fatica a tenerlo tranquillo. «Quello che colpisce è il suo dinamismo» dice il professore Giuseppe Boriani, direttore del reparto di cardiologia. Sgarbi ha informato subito tutti su Facebook, poi ha postato un video, con ancora i tubicini al naso: «Ero vicino alla morte e non ne avevo consapevolezza. Capre, sono ancora qui». Si è fatto portare una decina di libri («Dovrò stare qui qualche giorno, lunedì mi faranno un altro piccolo intervento»), e la mazzetta di giornali. Ha scritto un articolo per un settimanale sul pittore Scarsellino, e registrato un intervento per la trasmissione «Virus», che andrà in onda oggi. Hanno provato a togliergli il cellulare, impossibile. In un quarto d’ora telefonano in ordine: uno chef stellato, un anziano monsignore, un ex governatore della Sicilia, la figlia Alba che arriverà oggi dall’Albania. «Mi hanno chiamato anche Bossi e Berlusconi. E Grillo mi ha mandato un messaggio: “Le capre sono preoccupate”». Non si ferma mai. «I medici mi hanno detto che dopo l’intervento ho un cuore fortissimo, un grande cuore». La compagna lo guarda: «Speriamo». E lui, ghignando: «Senza dubbio».

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Luigi Mascheroni per il Giornale
Ieri mattina, quando ho saputo cos’era successo a Vittorio Sgarbi, gli ho mandato un Sms: «Sono felicissimo tu stia bene, anche se ti avrei fatto un coccodrillo sontuoso...». Qualche ora dopo mi ha risposto con una parolaccia. Ho capito che il peggio era passato.
Abituato a passare attraverso tutto il peggio che la vita quotidiana può riservare a chi non ha proprio nulla di abitudinario - corse da una parte all’altra dell’Italia, migliaia di chilometri macinati in macchina, fusi orari, pasti irregolari, appuntamenti a catena, ore di sonno al limite, maratone oratorie, sfuriate epiche, notti corsare, corse folli e abbuffate di cibo, letture, mostre, sesso e televisione - Vittorio Sgarbi ha passato un’esistenza tutta d’un fiato. È naturale che ieri ne sia rimasto senza, per un attimo.
Affetto da dromomania ossessivo-compulsiva che lo porta a scappare da un luogo all’altro nel minor tempo possibile e senza alcuna meta prestabilita se non un posto abbastanza lontano da quello in cui si trova, il Professore ha imparato da se stesso - e insegnato a chi lo circonda - a non rimanere mai fermo. «Se dovessi farlo per più di un’ora incomincerei a pensare alla morte, e la cosa mi ucciderebbe», mi ha confessato una volta. Ieri, per una manciata di minuti, è stata la morte a pensare a lui. Cuore matto e lingua lunga, non ha smesso di agitarsi neppure di fronte a lei. Coraggioso, sfrontato e insopportabile. Come sempre. A dodici ore di distanza dal ricovero aveva già, nell’ordine: parlato a un quotidiano, postato un insulto (amichevole) su Facebook, diffuso un comunicato stampa attraverso il fedele e infaticabile Nino Ippolito, radunato la sua corte al Policlinico di Modena, rilasciato un’intervista via smartphone al Tg1, fatto girare il video su WhatsApp. Intubato e in camice a pois. Non avremmo voluto essere nel camice dei medici. A mezz’ora dalla morte e una vita in perenne ritardo, Sgarbi non riesce a stare zitto nemmeno in terapia intensiva. Meglio così per lui, peggio per noi. Speriamo soltanto si rimetta in fretta. Domani, tra tutte le altre cose da fare, ci deve mandare un pezzo.