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 2015  dicembre 18 Venerdì calendario

Macri taglia il laccio col dollaro e il peso argentino perde il 40%

La fantasia degli argentini l’ha soprannominato «el cepo», la trappola, il laccio per immobilizzare quella che da sempre è la tendenza nazionale: correre ad acquistare dollari per proteggersi dalle turbolenze dell’economia. A una settimana dal suo insediamento il neo presidente argentino Mauricio Macri ha mantenuto subito una delle promesse della campagna elettorale: via il cepo, le limitazioni all’acquisto di dollari da parte degli argentini, sia per risparmio proprio sia per viaggiare all’estero. Odiosa misura restrittiva sulla quale Cristina Kirchner, presidente per 8 anni, si era giocata gran parte della sua popolarità tra la classe media, ma resa necessaria dal tipo di modello economico interventista che aveva impiantato.  A partire dal 2011, difatti, le riserve in valuta della Banca centrale avevano iniziato a diminuire, a causa dell’aumento di sfiducia sul valore del peso e all’acquisto massiccio di dollari. Le misure adottate dal governo sono state parecchie, ma tutte restrittive: è stato via via posto un limite all’acquisto di dollari in contanti, poi si sono tassate le spese all’estero con la carta di credito e persino le transazioni del commercio elettronico. Le «trappole» hanno toccato anche le importazioni di merci, con il risultato che alcuni prodotti alimentari stranieri sono gradualmente spariti dai negozi, come la pasta italiana. Negli ultimi quattro-cinque anni, di conseguenza, è esploso il mercato nero del dollaro e gli argentini si sono abituati a convivere con un doppio cambio, quello ufficiale e quello nero, chiamato «blu» tra i doleros di strada a Buenos Aires. Man mano che le restrizioni all’economia crescevano, il divario tra i due dollari si allargava. Ieri, primo giorno dopo l’annuncio, è avvenuto ciò che l’aritmetica finanziaria si aspettava: il prezzo del dollaro è andato ad allinearsi a quello del cambio nero, cioè attorno ai 14 pesos argentini, con una svalutazione prossima al 40 per cento rispetto al cambio ufficiale della vigilia che era di 9,7 pesos. Il mercato parallelo è dunque destinato a sparire, dato che i nuovi limiti del governo (2 milioni di dollari al mese a persona) sono talmente alti da essere ininfluenti. Macri, dunque, non ha perso tempo. Sa che provocare di colpo una forte svalutazione non ha nulla di popolare e potrebbe avere conseguenze anche gravi per molta gente, ma i suoi economisti ritengono la mossa necessaria per raddrizzare i conti pubblici. Il neo ministro dell’Economia Alfonso Prat-Gay ha promesso che il governo farà il possibile affinché la svalutazione non arrivi ai prezzi finali per i consumatori. È convinto anche che le riserve in valuta cresceranno grazie all’entrata di dollari dall’estero. Ma è un fatto che gli stipendi degli argentini subiranno nella sostanza un taglio e l’opposizione già lamenta le misure «neoliberali e antipopolari». Il controchoc economico di Macri dovrebbe portare nel giro di poche settimane all’eliminazione di altre misure dell’era Kirchner: le tasse alle esportazioni, che colpiscono soprattutto i produttori agricoli, e le tariffe pubbliche di elettricità e gas sussidiate. Si attende poi la pace definitiva con gli ultimi creditori di tango bond, reduci del default del 2002, tra i quali ci sono ancora alcuni risparmiatori italiani che non hanno aderito alle precedenti proposte di concambio.