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 2015  dicembre 17 Giovedì calendario

L’Iran prepara giacimenti low cost

L’Iran è pronto a giocarsi la sua migliore carta quando riunirà 250 società estere del settore petrolifero a Londra, dal 22 al 24 febbraio 2016. La carta in realtà è già stata svelata per tempo ai ceo delle maggiori a oil company: produrre petrolio nei principali giacimenti iraniani costerà da 1 a 1,5 dollari al barile.
Se il dato sarà confermato, se cioè non si tratta solo di un colpo a effetto sparato per attirare più attenzione possibile, questo farà dell’Iran il Paese con i costi upstream più bassi al mondo. Secondo i dati appena messi online da Nioc (National iranian oil company), il costo attuale della produzione è già tra i più convenienti del mercato, e sta scendendo dai 10 ai 5 dollari al barile. Questo, secondo Salbali Karimi, ceo della Icfc (Iranian central fields company), perché l’Iran già dallo scorso anno ha preso contromisure di fronte al calo del barile, per tagliare ulteriormente i costi e aumentare l’efficienza dei processi produttivi. Tanto per dare un termine di paragone, nei conti dei nove mesi 2015 Eni  ha annunciato di aver conseguito un drastico contenimento dei costi operativi, abbassandoli a 7,3 dollari al barile, già al di sotto della media di molti competitor e in riduzione del 12% rispetto a una guidance del -7%.
Saldo al quarto posto per volume di riserve stimate, circa 150 miliardi di barili, il Paese ha però urgente bisogno dei capitali che potranno apportare le società estere.
Gli investimenti previsti dal 2016 al 2025 ammontano a 250 miliardi di dollari: di questi, 176 miliardi sono per l’upstream, i restanti 74 miliardi per realizzare le strutture per il trattamento, impianti e raffinerie. Durante l’Iran Oil & Gas Post Sanctions Summit, che si è tenuto a Teheran a fine novembre (presenti Eni, Total, Shell e altre major), Seyed Mehdi Hosseini, a capo del comitato per la ristrutturazione dei contratti Oil, ha anticipato anche la nuova formula scelta da Nioc per sviluppare i giacimenti in joint venture con le compagnie estere. I nuovi contratti si chiamano Ipc (Iranian petroleum company), come anticipato da MF-Milano Finanza dell’11 dicembre scorso. Poi si è scelto per la presentazione ufficiale di organizzare un incontro di tre giorni a Londra a febbraio inoltrato e non più a dicembre, contando sul fatto che per allora le sanzioni potrebbero essere state rimosse. Subito dopo l’appuntamento londinese, Nioc metterà a gara le prime otto concessioni, per un controvalore di circa 30 miliardi di dollari. Nella City saranno illustrate le differenze tra gli Ipc e i classici Psa (Production sharing agreement), i più familiari alle compagnie petrolifere. Nioc andrà anche nel dettaglio del regime fiscale che verrà applicato ai nuovi partner. A grandi linee lo schema contrattuale che sarà proposto eliminerà, come da richiesta delle big oil occidentali, la clausola del buyback, che imponeva una quota fissa di utili da riconoscere alle compagnie petrolifere, mantenendo però l’esclusiva proprietà delle riserve sviluppate a Nioc e senza prevedere compensazioni per eventuali extra-costi sostenuti dai partner. Ora, invece, si opererà in regime di joint venture, e i proventi dell’estrazione verranno divisi pro-quota. Gli Ipc dureranno da 20 a 25 anni e garantiranno agli investitori una parte del petrolio prodotto, da destinare alla vendita. Il nuovo contratto è flessibile anche rispetto alle fluttuazioni del prezzo del petrolio e non blocca i proventi su una cifra predeterminata.