Pagina99, 12 dicembre 2015
I danni epocali di Federer, Djokovic e Nadal
A seconda dei punti di vista, il tennis maschile di oggi viene considerato un’età dell’oro oppure una fase di piattezza agonistica di cui non si vede la fine. Ci si inchina di fronte al ristretto gruppo di atleti che da anni impone un dominio senza precedenti ai vertici, i soliti Novak Djokovic, Roger Federer, Rafael Nadal, Andy Murray; ma si lamenta anche il fatto che vincano sempre gli stessi, e soprattutto che non ci sia una nuova generazione di talenti. Boris Becker nel 1985 ha vinto Wimbledon a 17 anni, come Michael Chang a Parigi nel 1989: oggi ci sono tennisti che sbocciano a 29 come Stanislas Wawrinka, che ha vinto un Australian Open e un Roland Garros, mentre non esistono più teenager competitivi. A fine 2015 l’età media della top ten è 30 anni e due mesi, la più vecchia da quando nel 1973 è stata introdotta la «classifica del computer», come la chiama Rino Tommasi.
Mentre i senatori invecchiano, chi si prepara a prendere il loro posto? Negli ultimi anni sono emersi nuovi nomi, ma il bilancio non è esaltante: c’è Grigor Dimitrov, rovescio a una mano e grande tocco, schiacciato sin da junior dall’etichetta Baby Fed per la somiglianza stilistica con il Maestro. Dopo aver lambito la top ten e raggiunto una semifinale a Wimbledon, oggi giace al fondo dei primi trenta, perso nei suoi colpi leziosi e in un gioco tatticamente ottuso, ancora incerto su che tipo di tennista diventare; Milos Raonic, l’ennesima incarnazione del tennis d’attacco servizio e dritto, l’anno scorso addirittura nei primi otto ma quest’anno sceso tra la 15esima e la 20esima posizione e senza acuti da ricordare; Ernests Gulbis, rampollo miliardario che gioca a corrente alternata, spregiudicato e potenzialmente alla pari con i migliori, ma incapace di competere ad alti livelli; Kei Nishikori sta facendo la storia del tennis asiatico, nonostante i frequenti infortuni, è più solido delle altre presunte promesse degli anni ‘10 ma resta un passo indietro ai più forti.
Prima di loro una sequela di ormai trentenni ha subitolo stesso trattamento: Jo Wilfried Tsonga, Tomas Berdych, David Ferrer, Richard Gasquet, tutti habitué dell’alta classifica tenuti a distanza da quei tre o quattro che non vogliono smettere di vincere. Due generazioni praticamente perdute, incapaci di produrre un giocatore che cambi l’inerzia della situazione. L’evoluzione del tennis è andata in parallelo a quella di altri sport, incrementando la pressione atletica e velocizzando il gioco: più forte, più dinamico, più lungo. Se prima la velocità era quella del colpo e della traiettoria, oggi è nelle gambe, nella ripresa della posizione, nella capacità di recuperare. Un tempo la palla era veloce, oggi invece pesa: gli atleti maturano più tardi, gli adolescenti devono faticare molto di più per sviluppare il corpo necessario a competere.
Federer, Nadal, Djokovic hanno tutti vinto Slam prima dei ventidue anni, ma oggi sembra impossibile immaginare uno tra gli over 20 in circolazione vincere sette partite di seguito al meglio dei cinque set. È più facile che in futuro siano i pochi teenager attuali a prendere il posto dei Big Four, piuttosto che i loro colleghi 25enni incompiuti.
Tra i migliori 100, attualmente ci sono soltanto cinque under 21: il primo è Nick Kyrgios, australiano un po’ sbruffone, già due quarti Slam e un tennis spettacolare, una benedizione per uno sport in deficit di personalità. Cuffione in testa all’ingresso in campo, improperi, istrionismi, rischia di fare la fine di Balotelli: il problema è la pressione enorme che gli arriva da media e social network, che amplificano ogni stupidaggine che fa. Se riuscirà ad andare oltre la vanità e la confusione che ne deriva, in futuro potrebbe vincere molto.
Ci sono anche il croato Borna Coric e il sudcoreano Hyeon Chung, e purtroppo non vediamo Gianluigi Quinzi, speranza italiana che nel 2013 ha battuto proprio Chung nella finale junior di Wimbledon. Da allora si è visto molto poco: nato a Cittadella, Quinzi si è formato in Florida, ma al momento di camminare con le sue gambe ha faticato. Gli albi d’oro sono pieni di campioni junior ignoti e la speranza è che Quinzi non venga travolto dalla condanna alla fama precoce.
Soltanto due i diciassettenni tra i primi 300: Francis Tiafoe, su cui molti contano per rilanciare il moribondo tennis maschile Usa, e Duck-Hee Lee. Quest’ultimo è un sudcoreano velocemente salito in classifica, ma che è stato notato da subito perché sordo dalla nascita. Difficile immaginare cosa provi nel silenzio delle sue partite, ma forse da quell’esperienza particolarissima potrebbe nascere un tennis diverso: oltre i Big Four e oltre tutti gli altri, in attesa che i padroni lascino la scena.