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 2015  dicembre 12 Sabato calendario

Chi sussurra all’orecchio di Draghi

L’assalto al cielo di Manhattan è cominciato un anno fa, quando la Bce di Mario Draghi ha assunto sotto il suo controllo la vigilanza delle banche europee, e Francoforte è diventata la nuova mecca delle lobby finanziarie.
Ai piedi del Grossmarkthalle, l’area che ospita la nuova sede della Banca centrale – un megacomplesso da 1,3 miliardi di euro disegnato dall’austriaco Wolf Dieter Prix – spuntano come funghi i grand commis dell’alta finanza. A luglio, la Federazione bancaria europea (Ebf), uno dei principali gruppi di pressione del settore, ha aperto il suo ufficio in Weissfrauenstrasse.
Lo stesso stanno facendo altri organismi, come la Federazione bancaria francese o l’italiana Intesa, che, insieme con società di consulenza e studi legali, hanno cominciato a schierare i propri lobbisti sulle rive del Meno. Per poter incidere sul processo decisionale è necessario presidiare i centri di comando. Perché se le regole si scrivono a Bruxelles, è a Francoforte dove oltre alla Bce hanno sede tutte le altre autorità di vigilanza – che si supervisiona la loro applicazione, e si decide il futuro dell’Eurozona attraverso la politica monetaria. A differenza della capitale belga, però, Mainhattan non ha un registro delle lobby. E della tanto promessa trasparenza, la Bce finora non ha dato prova. A parte qualche leak avvelenato fatto trapelare dalla scrivania di SuperMario, di ciò che accade dentro la più potente istituzione finanziaria dell’Unione europea si sa poco o nulla, sia per quanto riguarda le discussioni interne agli organi direttivi, sia per i contatti che ci sono tra il top management della banca centrale e esponenti della finanza.
Le pressioni sull’Eurotower sono molteplici, pubbliche e private. Da un lato agiscono i singoli Stati, in primis la Germania che, forte della sua potenza economica, riesce a far valere più di altri i propri desiderata. Basti pensare al trattamento riservato alle banche tedesche durante gli stress test, decisamente meno rigoroso di quello subito da altri istituti di credito europei (buona parte delle banche regionali e locali tedesche sono state escluse dalle verifiche e nei criteri adottati dalla vigilanza i derivati, di cui sono pieni gli istituti teutonici, hanno pesato in maniera minore rispetto ad altri parametri). Dall’altro c’è l’attività di lobbying che viene direttamente dal settore privato e si gioca in gran parte sull’accesso alle informazioni e sul loro scambio. Un canale d’influenza è quello dei cosiddetti contact group, in cui siedono tecnici della Bce e rappresentanti del settore privato, utili per sondare gli umori dei grandi operatori sulle politiche monetarie già in essere o ancora da venire. Di fatto, però, per colossi del credito e assicurazioni i gruppi di contatto sono diventati una via di accesso privilegiata alle informazioni e agli uomini della banca centrale. Nei contact group, che sono divisi per competenze – si va dal bond market group al foreign exchange group al money market group – «il 95% dei membri viene dall’industria finanziaria privata», spiega Kenneth Haar di Corporate Europe Observatory, una ong che monitora l’attività di lobbying sulle istituzioni europee. «Al loro interno non ci sono esponenti di altre associazioni, per esempio di consumatori o sindacali, come avviene invece nei tavoli di contatto di altre autorità di regolazione, dall’Eba, all’Eiopa, all’Esma». Per la Bce il problema non esiste: nei gruppi di contatto, è il ragionamento, si discute solo di aspetti tecnici della regolamentazione finanziaria e dunque non c’è necessità di coinvolgere altri attori sociali. Ma «non è del tutto vero», incalza Haar: «Come abbiamo potuto constatare dalle bozze pubblicate negli anni, nei contact group si parla anche di cose molto politiche». Per esempio della tassa sulle transazioni finanziarie, di cui si è discusso in «quattro dei sei market contact group della Bce, poco prima che il presidente e altri banchieri centrali facessero dichiarazioni pubbliche sul tema». O degli Ltro – i piani di rifinanziamento a lungo termine lanciati dalla Bce, che un economista della banca WestLb, Amd Schaefer, ebbe a definire un free lunch, un pasto gratis per le banche – più volte oggetto di confronto nel Bond market group dell’Eurotower.
Ma chi siede ai tavoli di contatto della Bce? Giganti del credito come Deutsche Bank (che è presente con diverse sue ramificazioni come il Deutsche asset & wealth management), BnpParibas e Unicredit; banche d’affari americane come Goldman Sachs International e Morgan Stanley; società assicurative come Société Générale; qualche grossa industria, come il gruppo franco-tedesco Airbus, che è membro del gruppo di contatto sul mercato delle valute estere.
Se sugli stakeholder qualche informazione trapela, «per il resto è praticamente impossibile monitorare il lobbying sulla Bce», dice Haar. L’istituto di Francoforte non rende pubblici nemmeno gli incontri dei suoi alti dirigenti con esponenti del mondo finanziario. A gennaio, pressata anche dalla Commissione europea, la Banca centrale aveva adottato un nuovo codice di condotta per regolare i contatti tra i suoi manager e il settore privato, ma la carta deontologica ha presto mostrato le sue defaillance. Il Financial Times ha rivelato che nell’ultimo anno Benoit Coeuré e altri membri del board Bce, hanno incontrato diverse volte esponenti di banche d’affari e fondi di investimento come Blackrock, prima che l’Eurotower prendesse decisioni importanti di politica monetaria. In uno di questi meeting, a maggio, Coeuré avrebbe anche anticipato ad alcuni operatori finanziari l’imminente, massiccio, acquisto di titoli di Stato da parte della Bce. La Banca centrale ha promesso che pubblicherà le agende dei suoi manager, ma per ora non se ne fatto nulla.
La possibilità di influenzare le decisioni della Bce, o di trarre vantaggio dall’accesso esclusivo alle sue informazioni, non passa tuttavia solo dalle cene dei banchieri. Si gioca anche nel rapporto che la Banca centrale stessa ha con società di consulenza esterne. L’Eurotower dispone di suoi ricercatori e centri studi, coordinati dal capo economista, il tedesco Peter Praet, che lavorano in maniera indipendente. Ma si avvale anche del contributo di analisti esterni. E il caso per esempio di Blackrock, che è presente nel Bond contact group dell’Eurotower: il fondo americano è stato consulente della Bce per gli acquisti in Abs e Rmbs, ma ha anche prodotto studi sull’impatto del quantitative easing.
«L’influenza avviene tramite la competenza», dice a pagina99 una fonte che conosce bene i meccanismi interni all’Eurotower. «Banche d’affari come Goldman Sachs presentano analisi economico-finanziarie di ottima qualità, che arrivano agli staff di esperti della Bce e vengono poi rielaborate. Il rischio però che portino acqua al loro mulino c’è». Una forma di soft power che l’industria finanziaria cerca di esercitare anche per altre vie, «cooptando ministri ed ex capi di governo», dice a pagina99 un’altra fonte, ex ministro, che conosce bene il mondo della finanza pubblica europea. «Deutsche bank, per esempio, si è mossa anche così». Il primo gruppo bancario dell’Ue un anno fa ha assoldato come suo vicepresidente Luc Frieden, ex ministro del Lussemburgo e «uomo forte di Juncker. Societè Génerale invece ha scelto Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del direttivo Bce». Il fenomeno delle revolving doors – ex decisori pubblici che passano al vertice di colossi privati, e viceversa – è uno degli strumenti più insidiosi del lobbismo finanziario. L’ultimo caso, eclatante, è quello di Edgard Meister, che dalla Deutsche bank è passato direttamente nell’administrative board of review della Bce. «Per salvaguardare gli interessi pubblici dagli appetiti dei privati, c’è bisogno di trasparenza e controllo democratico», conclude Haar: «La strada per raggiungere gli standard che una grande e potente istituzione come la Bce dovrebbe avere, è ancora lunga ma bisogna percorrerla». Whatever it takes.