D - la Repubblica, 12 dicembre 2015
Non toccate internet alle suore di clausura
Vivono come recluse, nascoste al mondo. Sono le suore di clausura, donne che a un certo punto della propria esistenza scelgono una vita di silenzio, preghiera, solitudine e lavoro dentro le mura di un monastero. Senza mai uscire. Senza più tornare indietro.
Non possono ricevere visite, se non in alcuni momenti dell’anno e in ogni caso protette da una grata di ferro che le mostra come fossero carcerate. Non usano il telefono, i contatti col mondo esterno sono ridotti all’osso. Internet è permesso, certo, ma con molta moderazione e sempre motivandone l’uso alla madre superiora. La tv, invece, mai. Nonostante ciò, tutto appaiono fuorché fuori dal mondo. Sulle notizie sono sempre aggiornate: il loro entrare in clausura, infatti, non è fuga mundi fine a se stessa, quanto «un allontanarsi per accompagnare con la preghiera le vicissitudini della gente».
Ricordate le monache di clausura di Napoli, protagoniste tempo fa dell’“assalto” a Papa Francesco diventato virale in tutto il mondo? Pronte a rispondere anche a Luciana Littizzetto che nel suo monologo a Che tempo che fa (Rai 3) le aveva definite «represse», con un post su Facebook indimenticabile: «Ci dispiace che la Sig.ra Littizzetto, che abbiamo apprezzato in altre occasioni, abbia pensato che le “represse” monache di clausura stessero aspettando il Papa per abbracciare un uomo... probabilmente per fare questo avremmo scelto un altro luogo e ben altri uomini... se avessimo voluto... Non sarebbe il caso, cara Luciana, di aggiornare il tuo manzoniano immaginario delle monache di vita contemplativa?».
Un immaginario che spesso tende ancora a dipingerle come I promessi sposi ce le ha consegnate. Donne insoddisfatte della vita che scelgono un rifugio da un mondo cattivo e ingiusto. E quando il rifugio non basta più, ecco che come tante monache di Monza cercano compensazioni fuori dalle mura claustrali. Ma nonostante vi sia chi interpreta la clausura così – e non a caso papa Francesco ha chiesto alle suore di essere «madri» e non «zitelle» – la maggior parte è fatta di una pasta diversa. Tanto che non è un’esperienza insolita che coloro che hanno la possibilità di incontrarle, dicano di loro: «Che belle!». Nel senso che i loro volti di donne normali dietro il velo monacale sanno riflettere una luce che riesce a renderle attraenti. C’è chi dice che ciò è a motivo del loro perpetuo contatto con Dio: una luce che di riflesso loro trasmettono a chi le visita. C’è, invece, chi preferisce parlare di una vita dai ritmi talmente perfetti (ora et labora) da rendere qualsiasi fisico splendente, rigenerato a vita nuova.
La quotidianità delle monache ha un ritmo da sapienza antica. Tutto è programmato al minuto, nemmeno un istante è lasciato al caso. Tanto che se si chiede a una di loro se non si annoi a vivere tutti i giorni dentro un monastero, risponde: «Ho tanto da fare che non ho tempo per annoiarmi». Scrivono di sé le ottanta monache trappiste di Vitorchiano, vicino a Viterbo: «La nostra è una vita semplice e povera, interamente consacrata a Dio nell’unione fraterna, nella solitudine e nel silenzio, nella preghiera continua, nel lavoro e in una gioiosa penitenza». Alle 3.30 della notte sono tutte in piedi. Lasciano le celle per dirigersi in cappella, dove c’è la recita dell’Ufficio di Vigilie. Poi si torna a letto, per rialzarsi alle 6.30 per la
preghiera delle Lodi seguita dalla Messa. Poi colazione, e tutte le monache inviate a sbrigare i propri incarichi. C’è chi si occupa della foresteria, chi del lavoro nei campi, chi della cucina, chi della preparazione di prodotti naturali da vendere in negozietti adiacenti i monasteri (marmellate, olio, prodotti della terra), chi della cura della cappella, chi di seguire le novizie, chi della biblioteca. A metà mattina, altre due preghiere tutte assieme (gli Uffici di Terza e Sesta) e poi, alle 12.30, il pranzo. Spesso mangiano in silenzio, con una monaca che legge per tutti un libro di spiritualità (magari sulla vita di un santo) o pagine della sacra scrittura. Dopo pranzo, un’ora è dedicata al riposo. L’attività lavorativa riprende alle due, dopo l’Ufficio dell’ora Nona. Fino ai Vesperi (alle 17). A cui segue la cena e, alle 19.30, l’ultima preghiera, la Compieta. I ritmi, infatti, sono quelli stabiliti dal sole. A letto le monache vanno presto. Negli anni di verifica (prima di entrare in monastero definitivamente di solito trascorrono cinque anni) anche la capacità di adattarsi ai nuovi ritmi è un criterio per il discernimento della vocazione. Chi non vi riesce, viene spesso invitato a lasciare.
Con Papa Bergoglio la Chiesa sta facendo propria una svolta che già il Concilio Vaticano II aveva iniziato a porre in essere. Dopo secoli di Chiesa gerarchica, infatti, una societas inaequalis governata dal clero e a cui i laici sono stati di fatto sottomessi, la strada è quella di una nuova orizzontalità, un percorso finalmente collegiale in cui anche le donne, religiose o laiche che siano, concorrono al governo (vedi box a destra). Perché è il gregge, più che il pastore, a indicare la strada. Un gregge in cui le donne e gli uomini abbiano i medesimi diritti.
Certo, ciò non significa che tutte le prerogative riservate agli uomini cadranno – in merito alle donne prete, per esempio, Papa Francesco tornando due anni fa in aereo dal Brasile ci aveva detto che quella porta è ancora chiusa – ma molto nella Chiesa, soprattutto per quanto riguarda gli incarichi di governo, si tingerà di rosa. Nella curia romana presto prenderà forma una nuova Congregazione dedicata interamente ai laici. Qui, con ogni probabilità, verranno messe nei posti di responsabilità anche alcune donne, laiche e religiose. E non è escluso che persino ad alcune contemplative venga chiesto per qualche tempo, o per qualche porzione del loro tempo, di tornare alla vita attiva: per servire in altro modo la Chiesa.