Origami, 17 dicembre 2015
Per i musulmani il Mein Kampf è un bestseller da sempre
Appena dietro piazza Tahrir, al Cairo, dove si consumava, allora, 2011, l’ennesima, imperfetta primavera del mondo: la piccola moschea laddove i manifestanti avevano montato una provvisoria infermeria per i feriti degli scontri, poi il posto di blocco dei rivoluzionari che davano la caccia a provocatori e infiltrati, e la statua di Bolivar, omaggio invecchiato a defunti terzomondismi. Poi le vie di una città che sorge in fretta, con la sua edilizia sconnessa, con il presente che passa ed è subito come una cosa usata, sporca in cui la traccia della vita non riesce diventare storia, ma è usura, decade senza riuscire ad invecchiare. Lì c’era la libreria. In vetrina il volume era al centro: con il volto dell’imbianchino pestifero, disteso su una fila di croci runiche. Sì: Mein Kampf, edizione in arabo.
Il libraio, saldo e aitante, sordo al tumulto che gli rombava intorno, mi mostrò le 900 pagine, le sguaiate ostentazioni, senza enfasi o cautela: «si vende, si vende, soprattutto a giovani, venti, trent’anni...».
Sono tornato al Cairo, due anni dopo: il tumulto si era spostato proprio nella via della libreria; i manifestanti, inferociti per le caricature di Maometto cercavano di assaltare la vicina ambasciata americana. La strada pompava tutto quel movimento come un imbuto di cemento. La libreria era chiusa. Ma Mein Kampf era sempre lì, ben sistemato in vetrina. L’ho trovato nelle librerie e nelle biblioteche di tanti, troppi paesi musulmani, dal Libano all’Iran, alla Turchia In Marocco, al festival del libro di Casablanca era negli stand: provocò appena un cauto scandalo.
Anche con i libri il Male resta e riappare visibilmente nel mondo: piccoli segni, neri graffiti gonfi di veleno. Che bruciano ancora, che corrodono sempre. Trova rivoli segreti, le linee del sangue e della Storia, segue le tracce della paura e dell’odio.
E tutto comincia già negli anni Trenta, stentatamente: dal mondo arabo arrivavano a Berlino gioiose proposte di traduzione, ma erano i tedeschi a opporre rinvìi e rifiuti. Non volevano versioni edulcorate, ovvero senza le brutali asserzioni della superiorità degli ariani sui semiti. Eppure agli arabi, che stramaledicevano l’Inghilterra piaceva il Reich. La Germania non li aveva colonizzati e voleva mandare in pezzi l’ordine di Versailles. Che azzeccata coincidenza! Soprattutto suonavano dolcissime le sfuriate antiebraiche di Mein Kampf: gli ebrei dannati, con l’aiuto degli inglesi, stavano colonizzando la Palestina, la compravano ettaro dopo ettaro. Il gran muftì di Gerusalemme, Amin al Husayni, guidava la rivolta con viperina cattiveria e meditava di risolvere artigianalmente il problema avvelenando l’acquedotto di Tel Aviv. Fu tra i primi a spedire telegrammi di lode, ne arrivarono a migliaia alla Wilhelmstrasse da tutto il mondo arabo, per le leggi antisemite del 1934. Qualche anno dopo si fece fotografare, esule giulivo, accanto a Hitler: controllava soddisfatto i conti della Soluzione finale.
Fortemente voleva la traduzione e la diffusione di Mein Kampf, il Muftì. Come uno dei fondatori del partito Baath siriano, Sami al Jundi: «Eravamo razzisti, ammiratori del nazismo, leggevamo i suoi testi e le fonti della sua dottrina..». Purtroppo non è solo il meglio degli uomini che con i libri resta sempre vivo e respira. Perché questa furia e questo fuoco sono rimasti accesi nel mondo musulmano, 50 anni dopo il Reich che doveva essere millenario ha cercato in tutti modi di dannarsi completamente, di superare le settanta volte sette offese per le quali è possibile perdonare l’anima umana? Ci si sente toccati da un vento freddo che viene dal tempo del terrore. Israele è lì, certo, tutto serve all’uomo a tener vivo l’odio, ad arroventare i pensieri, anche se è sporco, disgustoso e falso. Anche Mein Kampf e I protocolli dei savi di Sion. Ma nel 2005 in Turchia una ristampa del libro maledetto ha venduto migliaia di copie, è diventata un best seller... In Turchia.