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 2015  dicembre 17 Giovedì calendario

Quando gli americani eleggono i loro sceriffi

Il 4 agosto 2015, giorno di elezioni primarie nel Mississippi, una frase circola ossessivamente sulle radio della contea di Hinds, una delle più povere dello Stato: «Voi scegliete colui che vi mette in prigione». Martellante, l’argomento fa dello sceriffo, che sarà una delle cariche elette quel giorno, lo specchietto per le allodole di uno scrutinio dalla portata più vasta, in cui i cittadini dello Stato sono chiamati a prendere numerose decisioni.
Innanzitutto: desiderano partecipare alle primarie, democratiche o repubblicane? In caso affermativo basterà che al momento dell’iscrizione alle liste elettorali si dirigano – sotto gli occhi di tutti i presenti – verso il tavolo del loro partito preferito che si trova nella stessa stanza di quello avversario. A quel punto si vedono consegnare una scheda elettorale. Nel caso dei democratici, ad esempio, si tratta di un documento di quattro pagine con 13 caselle da sbarrare per altrettante cariche da rinnovare: governatore, vice governatore, senatore e deputato dello Stato, commissario ai trasporti, commissario ai servizi pubblici, procuratore, esattore delle tasse, cancellieri del tribunale, sergenti della polizia ecc. (1). Difficile, in queste condizioni, conoscere la personalità e il programma di ciascun candidato.
Nella contea di Hinds, la più popolosa del Mississippi e sede della capitale, Jackson, le primarie determinano il risultato delle elezioni generali. La popolazione, in maggioranza nera (il 69% dei 245.000 abitanti), vota sistematicamente in massa per i democratici. I repubblicani, benché maggioranza nello Stato, così come gli «indipendenti», qui non hanno alcuna possibilità. Così, a meno di un colpo di scena, lo scrutinio di novembre 2015 non dovrebbe fare eccezione: i vincitori delle primarie democratiche saranno eletti.
Nonostante l’importanza della posta in gioco, le sezioni elettorali – chiese in gran parte, talvolta scuole o caserme dei pompieri – non attirano le folle: la percentuale di partecipazione non andrà oltre il 28%. Seduti dietro un tavolo recante l’insegna «primarie repubblicane» in un quartiere povero del centro di Jackson, Charles Lewis e Montrell Williams, due afro-americani sulla trentina, possono constatarlo di persona. «È una dura giornata di lavoro» sbotta ironico Williams agitando un registro disperatamente vuoto: sui 550 elettori registrati, 162 si sono trasferiti e solo due sceglieranno di partecipare alle primarie repubblicane. Se oggi si trova qui è «per l’assegno da 100 dollari» accordato dal Partito repubblicano a coloro che tengono gli uffici elettorali il giorno delle elezioni. Perché, come Lewis e la loro collega Keondra Rankin, Williams vota democratico...
Malgrado la pletora di candidati, gli elettori hanno sempre un’opinione ben definita a proposito di una carica: quella di sceriffo. Si tratta di una personalità importante, conosciuta dai cittadini, che interviene spesso sui media locali. Se dirige le forze di polizia della contea esercitando quindi quotidianamente la funzione di mantenere l’ordine (dispone del potere di fermo), si assume anche la gestione delle prigioni, in cui sono rinchiusi soprattutto imputati in attesa di processo. Lewis e Williams conoscono direttamente la cosa: sono stati detenuti per brevi periodi (tre settimane l’uno, due giorni l’altro) a Raymond, dove si trova una delle prigioni dirette dall’attuale sceriffo, il democratico Tyrone Lewis, candidato alla successione di se stesso.
Negli Stati Uniti, la condanna per un crimine o un reato comporta molto spesso la perdita dei diritti civili (2). In alcuni Stati, come Kentucky o Virginia, la sanzione può anche essere definitiva. L’interdizione dal voto tocca attualmente il 7,7% degli afro-americani, il che ha portato la docente di diritto Michelle Alexander a denunciare un «nuovo sistema Jim Crow» in riferimento alle leggi che istituirono la segregazione (3). Charles Lewis e Wiliams possono partecipare al voto perché riconosciuti colpevoli di infrazioni minori. Molto critici nei confronti del candidato uscente che li ha messi sotto chiave, hanno votato per un avversario autorevole: Victor Mason, che ha fatto la sua campagna criticando la gestione disastrosa delle due prigioni della contea.
Tra gli abitanti di Hinds, lo sceriffo Lewis gode della popolarità del «ragazzo di qui», bonario e simpatico, ma duro e severo quando serve. È cresciuto a Jackson e ha fatto studi di comunicazione all’università locale, prima di entrare nella scuola di polizia della città e diventare ufficiale all’inizio degli anni ’90. Quando ha deciso di presentarsi alle elezioni per diventare sceriffo, nel 2011, la sua vittoria alle primarie, contro Malcom McMillin, in carica da 20 anni, ha assunto una portata storica: fin dalla sua creazione, negli anni ’40 dell’800, la contea di Hinds non aveva mai avuto uno sceriffo nero o di un’altra minoranza.
È proprio per questo che Lucius Wright, pensionato dell’esercito divenuto uomo d’affari, aveva a suo tempo preso parte alla sua campagna: «Qui, le persone che hanno a che fare col sistema penale, i detenuti, sono quasi sempre afroamericani. Per essere sicuri che i loro diritti fossero rispettati, ci voleva qualcuno che potesse identificarsi con loro. Lewis era quindi il candidato migliore».
Un sito internet in cui guardare il profilo dei detenuti
Il «noi» a cui fa riferimento Wright sono i gruppi di militanti che sostenevano l’ex sindaco di Jackson, Chowke Lumumba, morto per arresto cardiaco nel 2014, all’inizio del suo primo mandato. Nato a Detroit nel 1947 sotto il nome di Edwin Finley Taliaferro, l’uomo era una figura di spicco del nazionalismo nero negli Stati Uniti. Aveva assunto il cognome Lumumba negli anni ’60, in onore del leader congolese assassinato nel 1961, e si era stabilito nel Mississippi nel 1971 con l’obiettivo di fondare una repubblica nera indipendente. Eletto sindaco di Jackson nel 2013, grazie al sostegno di diverse organizzazioni del movimento per i diritti civili, in particolare ha fatto votare per referendum un aumento delle tasse, un successo non da poco in un Paese in cui la lotta contro la spesa pubblica e contro il fisco costituisce un dogma nazionale.
Nonostante il sostegno di persone provenienti dalla tradizione politica di Chowke Lumumba, Tyrone Lewis non sembra occuparsi molto della questione razziale, né dei diritti dei detenuti. «Io non mi sono presentato per essere il primo sceriffo afro-americano, ma per essere il miglior sceriffo che la contea di Hinds abbia mai conosciuto. Non è una questione di “razza”. Quello che importa è garantire alla popolazione la qualità di vita che merita», ci ha dichiarato. Nel corso della sua campagna pensa più a curare la sua immagine pubblica che a difendere il suo operato, tanto più che i partiti non impongono ai propri candidati un programma unico su scala nazionale o anche solo statale.
Lo incontriamo a una fiera annuale, opportunamente organizzata dalla polizia qualche giorno prima delle elezioni. Non si tratta di un meeting, ci assicura: «È unicamente per la comunità, è una cosa che facciamo tutti gli anni, contro il crimine, per la sicurezza, per sviluppare le relazioni fra la polizia e la popolazione». Al di là di questo discorso convenzionale, la serata offre soprattutto cibo, bevande, videogiochi e musica. Prima del concerto, la gente può ascoltare un pastore tenere una predica vibrante: «È formidabile essere qui per sostenere il nostro sceriffo Tyrone Lewis. Padre nostro, nel nome di Gesù, un nome che è al di sopra di tutti i nomi, Padre nostro, noi stasera preghiamo per il nostro sceriffo, preghiamo Dio per una vittoria alle elezioni, preghiamo per tutti gli uomini dello sceriffo. Siamo così felici di vedere che il crimine arretra nella contea di Hinds. Oh Dio, ti rendiamo gloria per l’uomo di cui ti servi. Amen. Amen. Amen». Dopo questa pirotecnica introduzione l’eroe della serata, tarchiato, in maniche di camicia, sale sul palco. Esorta gli elettori ad andare avanti «quattro anni ancora», poi dispensa consigli per l’idratazione per difendersi dalla calura del mese di agosto, torrido nel sud degli Stati Uniti.
La storia non dice se questo evento della campagna elettorale sia stato pagato con i fondi dello sceriffo o con quelli del candidato. In ogni caso, Tyrone Lewis ha i mezzi per fare la propria campagna: i rapporti pubblici sul finanziamento della politica indicano che dispone, e di gran lunga, dei mezzi più consistenti. Ha avuto a disposizione 80.000 dollari mentre il suo avversario diretto, Mason, ha dichiarato solo 20.000 dollari di donazioni alla data delle primarie. Grazie alla trasparenza i rapporti riferiscono i nomi dei donatori e l’importo dei loro contributi. Fra i principali sostenitori dello sceriffo Lewis si trovano alcuni dei più importanti studi legali della città, nessuno dei quali ha voluto rispondere alle nostre domande.
Le somme raccolte hanno permesso al candidato di pagare i numerosi cartelli piantati ai bordi delle strade, ma anche gli annunci che passano incessantemente in televisione e nelle radio locali. Fra due pubblicità di un’assicurazione o di un’automobile, gli spettatori possono vedere lo sceriffo Lewis nelle vesti del buon padre di famiglia, seduto fra i suoi bambini. Il figlio, un marmocchio di sei anni, lo interrompe e invita a votare per lui perché è stato «duro con i criminali» («tough on crime»).
Molto spesso questo slogan riassume il programma degli sceriffi e dei procuratori in ogni contea degli Stati Uniti. Cercare di essere eletti a una di queste cariche comporta di dover dimostrare che il detentore attuale non si è mostrato particolarmente repressivo e ha lasciato sviluppare la delinquenza. I candidati sono aiutati in questo dai media locali che accordano uno spazio abnorme alla cronaca nera: ogni sera le televisioni diffondono le immagini ansiogene di poliziotti armati intorno a qualche scena del crimine oppure la foto di un sospettato inseguito dagli agenti, tenendo spesso per ore la contea col fiato sospeso.
Una volta che l’individuo è stato arrestato, i cittadini possono andare sul sito internet dello sceriffo per verificare che sia stato messo in prigione. Come molti altri suoi colleghi in altre parti del Paese, Tyrone Lewis propone un servizio online dove chiunque può consultare le schede di tutte le persone detenute nelle prigioni della contea (4). Ci sono le fotografie, i dati (data di nascita, altezza, peso, «razza»), l’indirizzo, la data dell’arresto e le infrazioni contestate, anche quando, non essendoci ancora stata una sentenza, l’individuo è solo imputato e quindi presunto innocente. In caso di condanna a una pena detentiva, i detenuti vengono trasferiti in una prigione di Stato. Rimane comunque possibile sapere dove si trovino andando sul sito internet dell’amministrazione penitenziaria del Mississippi. Infine, alla loro scarcerazione, e per alcuni crimini, soprattutto a carattere sessuale, i cittadini possono conoscere la loro residenza.
Due rapporti schiaccianti contro lo sceriffo Lewis
Il sito dello sceriffo Lewis funziona in tempo reale: viene aggiornato ogni volta che qualcuno è arrestato e poi messo in carcere (5). Negli Stati Uniti la detenzione provvisoria rientra nelle competenze del giudice della «cauzione» che verifica che sussista un motivo legittimo per l’arresto, decide se accordare il diritto alla scarcerazione su cauzione e stabilisce l’importo di quest’ultima. L’«udienza» (comprensiva di requisitoria del procuratore, arringa della difesa e sentenza del giudice) dura spesso meno di un minuto.
Tyrone Lewis ha subito violente critiche da parte degli avversari a causa della sua deprecabile gestione delle prigioni svelata da due rapporti poco prima della campagna elettorale. Nell’ottobre 2014 una giuria di cittadini che ha visitato uno degli istituti ha osservato che «sembrava che i detenuti controllassero la prigione a causa della scarsezza di guardie» e ha giudicato lo sceriffo Lewis «incompetente» a gestirla e a proteggere i cittadini da coloro che vi erano rinchiusi (6). Nel corso del suo mandato diverse evasioni clamorose hanno effettivamente lasciato il segno nell’opinione pubblica. Anthony P. Thomas, il terzo candidato alle primarie democratiche, anche lui poliziotto, ha incentrato la propria campagna su queste evasioni che, a suo dire, «fanno aumentare i premi d’assicurazione pagati dalla contea».
Nel maggio 2015 è il ministero della giustizia federale, a seguito di un’inchiesta minuziosa, a rilasciare un rapporto molto più completo sulle prigioni della contea (7). Le sue conclusioni sono allarmanti: al di là di serrature, telecamere e allarmi che non funzionano, il rapporto nota soprattutto che la contea non protegge i prigionieri dalle violenze dei sorveglianti o dei compagni di detenzione. Il rapporto ha anche registrato molti casi di uso ingiustificato della pistola a scariche elettriche (Taser) da parte di sorveglianti, così come casi di detenzione che si sono protratti oltre la data di scarcerazione stabilita dal tribunale. Uno studente di 13 anni – il rapporto non precisa le ragioni della sua detenzione – è rimasto così in carcere per 70 giorni oltre la data prevista per la scarcerazione. Sul centinaio di situazioni prese in esame, i ricercatori hanno constatato 12 casi di detenzione illegittima. «Il fax che riceve i decreti del tribunale ogni tanto si guasta o esaurisce la carta» è stata la giustificazione dell’ufficio dello sceriffo.
«Abbiamo chiesto e ottenuto la pena di morte!»
Di fronte a questo bilancio disastroso, non stupisce che Wright, già sostenitore di Tyrone Lewis, abbia deciso quest’anno di fare campagna per Mason, di cui sottolinea le competenze tecniche. Ufficiale di polizia per una trentina d’anni, l’aspirante sceriffo ha anche seguito i corsi dell’accademia dell’Ufficio federale di investigazione (Fbi), una carta prestigiosa, a detta dei suoi sostenitori.
Per tutta la campagna Mason si è servito largamente dei due rapporti. Ha annunciato la propria candidatura davanti a una prigione, dopo aver denunciato il «caos» seminato dallo sceriffo uscente e sottolineato i rischi di evasione. Mason diffonde instancabilmente questo discorso di carattere securitario, ostentando il rapporto del ministero della giustizia come un trofeo, da una chiesa all’altra, nelle riunioni pubbliche, negli incontri porta a porta, su Facebook, dalle ribalte televisive...
Numerosi volontari prendono parte alla sua campagna. Una settimana prima delle elezioni li ritroviamo nel loro quartier generale, un grande e anonimo hangar bianco situato a fianco di un garage su una collinetta nella parte ovest di Jackson, a picco su un groviglio di autostrade dove nessuno si arrischia a venire a piedi o in bici. Questa sera una trentina di persone ha preso posto sotto i gagliardetti con i colori della bandiera statunitense e i manifesti con il volto di Mason. Un pannello proclama con fierezza: «Mancano solo sette giorni alla vittoria!». Keyshia Sanders, direttrice della campagna, conduce la riunione a ritmi serrati: in una ventina di minuti ha fatto il punto sulle ultime donazioni, fissato il programma della settimana, distribuito i compiti e ricordato i quartieri dove occorre fare propaganda porta a porta.
Sanders non intende soffermarsi sulle ragioni che l’hanno portata a impegnarsi in questa campagna a titolo gratuito. Sapremo solo che il suo compagno è poliziotto. Non bisogna trarne conclusioni affrettate, ma un’osservazione sommaria permette di constatare che spesso, nell’elezione dello sceriffo, entrano in gioco interessi professionali o relazioni familiari. Una volta in carica, un nuovo arrivato può effettivamente decidere di cambiare il personale della propria amministrazione. In uno dei numerosi forum politici organizzati dalle Chiese – importanti luoghi di dibattito pubblico in questa regione degli Stati Uniti –, che si aprono sempre con la preghiera del pastore che chiede al suo gregge di benedire i candidati e la democrazia, abbiamo potuto ad esempio vedere due file di poliziotti, disciplinatamente seduti, venuti ad applaudire il discorso del loro capo Tyrone Lewis.
Anche i procuratori devono essere eletti. Shaunté Washington enuncia chiaramente le ragioni del proprio impegno in quest’altra campagna. A 36 anni, è sostituto dal 2010 e ha quindi prestato servizio solo sotto l’amministrazione di Robert S. Smith, procuratore distrettuale dal 2008 e candidato al terzo mandato. La donna non nasconde la sua ammirazione per lui «così vicino alla gente e accessibile» e che, a suo dire, sa «trovare il giusto mezzo fra la sanzione e la clemenza». Descrive inoltre il compito del procuratore come «una missione, un po’ come quella del pastore», e si dice «fortunata» di poter lavorare proprio con lui. È quindi con grande spontaneità che distribuisce volantini nelle chiese e che va a suonare alle porte, in piena estate, per incitare i concittadini a rieleggere il suo capo. La donna spinge anche i suoi familiari a fare lo stesso e a installare cartelli elettorali. La posta in gioco è di un certo rilievo: «Se Stanley Alexander vince, io perdo il posto».
Sostituto del procuratore generale del Mississippi, Stanley Alexander è l’unico avversario di Smith alle primarie e conduce una campagna aggressiva contro di lui. «Ci accusa di lassismo. È falsissimo, noi abbiamo chiesto e ottenuto la pena di morte!» protesta la giovane sostituta, riferendosi al caso di James Hutto, giudicato colpevole di omicidio e condannato a morte nel 2013. Una decisione che Smith presenta come frutto del suo accanito lavoro: «Bisogna convincere una giuria a spingersi così lontano, a decidere di infliggere la morte a qualcuno. Non è un compito facile perché molte persone hanno convinzioni morali su questo tema».
Eletto con la nomea di democratico, il procuratore uscente non ha mai smesso durante la campagna di vantare la propria severità. Sulle pubblicità di cui ha inondato i giornali locali la sua foto e uno slogan semplice («Il bilancio parla da solo») dominano le foto segnaletiche della trentina di persone per le quali ha ottenuto le pene più severe. James Hutto, attualmente nel braccio della morte, figura ovviamente al primo posto di questo registro di caccia. E per guadagnare definitivamente la fiducia degli elettori, l’annuncio si conclude con queste parole: «Più di 11.000 condanne» – in una contea di 245.000 abitanti.
È stato Alexander a iniziare la guerra delle cifre. Accusa Smith di essere arrivato al processo solo in un centinaio di casi, di non chiedere pene abbastanza severe e di avere troppi casi in sospeso, ancora privi di sentenza. Il suo discorso è ben collaudato: «Sono stufo del crimine!», sbotta in una clip propagandistica in cui promette di essere più repressivo, ma di «lasciare una seconda possibilità ai delinquenti al primo reato non violenti».
La differenza fra l’esile quantità dei processi intentati dall’amministrazione di Smith e il gran numero di condanne riflette il funzionamento generale della giustizia negli Stati Uniti: la maggior parte dei casi si conclude con un accordo fra il procuratore e la difesa sulla colpevolezza e sulla pena. Basandosi su un negoziato ineguale, in cui il procuratore gode di un potere di gran lunga maggiore della difesa (soprattutto in termini di accesso alle informazioni) [8], questo sistema della «dichiarazione di colpevolezza» ha svolto un ruolo importante nell’aumento del numero di detenuti da più di tre decenni, suscitando numerose critiche.
D’altra parte, Barack Obama ha messo la riforma del sistema giudiziario nel programma del suo ultimo anno di mandato. Primo presidente in carica a visitare una prigione federale – nel luglio 2015 –, ha denunciato davanti all’Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore (National Association for the Advancement of Colored People, Naacp), il 14 luglio scorso, «la lunga storia di diseguaglianza del sistema penale americano», sistema che «in casi fin troppo numerosi» diviene un «canale che collega scuole mediocri, mal finanziate, e prigioni sovraffollate».
La detenzione di massa rimessa in discussione?
A livello degli Stati, e per ragioni essenzialmente di bilancio (9), delle leggi che facilitano le scarcerazioni condizionali cominciano a rimettere in discussione la detenzione di massa – è soprattutto il caso del Mississippi (10). A livello federale, una proposta di legge presentata il 10 ottobre 2015 al Senato da un gruppo di repubblicani e democratici cerca di invertire la tendenza abbassando l’entità delle pene minime e facilitando la scarcerazione dei detenuti condannati a pene troppo lunghe – spesso per questioni di droga.
In ogni caso, questi sviluppi non hanno ancora raggiunto la contea di Hinds dove i dibattiti fra gli aspiranti procuratori vertono spesso sulla battaglia delle cifre e si concentrano su questioni specifiche conosciute solo da loro. Prima di diventare procuratore Smith faceva l’avvocato penalista e spesso difendeva degli imputati contro Alexander che svolgeva il ruolo di sostituto. Questi ricordi comuni danno luogo a scambi talvolta sconcertanti: Smith rinfaccia al suo avversario di avere a suo tempo proposto a uno dei suoi clienti, nel quadro di una «dichiarazione di colpevolezza», una pena troppo mite, il che dimostrerebbe il suo lassismo. Nel caso specifico, il cliente di Smith, accusato di omicidio, si era visto proporre da Alexander una condanna a 25 anni di prigione, che ha preferito accettare piuttosto che rischiare di essere condannato all’ergastolo da una giuria.
Questi argomenti hanno palesemente convinto l’elettorato: Smith ha vinto le primarie democratiche con il 70% dei voti. Nessun avversario repubblicano si è presentato contro di lui alle elezioni generali di novembre 2015; il procuratore ha quindi conservato la sua carica per un terzo mandato. La sera del 4 agosto ha festeggiato la vittoria in un noto locale del centro di Jackson cantando – da vero figlio del Mississippi – un blues, attorniato da amici e collaboratori.
La serata elettorale organizzata da Mason nel suo quartier generale vede riunita molta più gente: le centinaia di volontari che lo sostengono, ma anche i media locali, venuti a vedere se lo sfidante ce la può fare. Bisogna attendere fino a tardi per constatare che la disfatta dello sceriffo Lewis si è consumata. I dati delle consultazioni statali arrivano per primi. Impietrito, il pubblico viene così a sapere che Robert Gray, camionista, ha vinto le primarie democratiche per la carica di governatore del Mississippi contro due politici navigati e senza neppure aver votato, perché non ne aveva il tempo, né aver fatto una campagna. Più tardi, l’assemblea non nasconde la propria gioia all’annuncio della vittoria di Mason che ha raccolto il 53% dei voti contro il 44% dello sceriffo uscente e il 3% di Thomas.
Candidato ufficiale del Partito democratico. Mason ha poi vinto largamente le elezioni con il 72% dei voti contro il 19% del primo dei suoi concorrenti, il candidato indipendente (11) Les Tannehill, e il 9% della candidata repubblicana Charlotte Oswald, divenendo quindi il secondo sceriffo nero nella storia della contea.
Questo risultato non dovrebbe cambiare granché. Dopo la morte di Michael Brown, adolescente afro-americano ucciso da un poliziotto bianco a Ferguson nell’agosto del 2014, la questione delle violenze poliziesche e razziste è diventata centrale nel dibattito pubblico negli Stati Uniti. Tuttavia, i candidati della contea di Hinds hanno accuratamente evitato il tema. Non per mancanza di interesse da parte dei cittadini: Williams, Lewis e Rankin, ad esempio, sono inesauribili a proposito dei soprusi che subiscono dalla polizia. Essere «un nero al volante» costituisce di per sé un’infrazione agli occhi di molti agenti, dichiarano i tre all’unisono. Interpellato sull’argomento durante la campagna elettorale dai due giovani conduttori neri di un talk show locale, Mason ha dimostrato di non avere nulla del militante antirazzista e tutto del poliziotto: «Se state guidando e vi chiedono di fermarvi, fatelo, chiudete la radio, spegnete il motore. Normalmente il poliziotto vi si avvicina con educazione. La cosa peggiore che possiate fare è dirgli “Perché mi ha fermato così?”».
Sta di fatto che, molto spesso, il poliziotto non è «normalmente» educato, e il controllo degenera. Il movimento Black Lives Matter («Le vite dei neri contano») denuncia i numerosi casi di cittadini neri disarmati uccisi da poliziotti che poi vengono molto raramente perseguiti dalla giustizia. Il procuratore di Saint Louis – competente su Ferguson – è stato oggetto di critiche veementi per non aver perseguito propriamente il poliziotto che ha ucciso Michael Brown, poiché il caso si è chiuso con l’assoluzione. «Ferguson ci insegna che le elezioni locali dei rappresentanti delle forze dell’ordine e della procura sono le scelte più decisive», osserva il giornalista John Nichols, prima di sottolineare questa «scomoda verità politica»: «Il procuratore di Saint Louis è un democratico» (12).
Note:
[1] Si legga Serge Halimi e Loïc Wacquant, «Democrazia all’americana», Le Monde diplomatique/il manifesto, dicembre 2000.
[2] Si legga Serge Halimi e Loïc Wacquant, «Quando lo Stato penale esclude quattro milioni di elettori», Le Monde diplomatique/il manifesto, dicembre 2000.
[3] Michelle Alexander, The New Jim Crow: Mass Incarceration in the Age of Colorblindness, The New Press, New York, 2010.
[4] «Hinds County – Inmate Search», www.co.hinds.ms.us
[5] Cfr. Nick Pinto, «The ball trap», The New York Times Magazine, 13 agosto 2015.
[6] «Jail», rapporto della gran giuria, tribunale distrettuale della contea di Hinds, 2 ottobre 2015.
[7] «Investigation of the Hinds County adult detention center», Dipartimento americano della giustizia, divisione per i diritti civili, Washington, DC, 21 maggio 2015.
[8] Cfr. le osservazioni del giudice federale Jed S. Rakoff, «Why innocent people plead guilty», The New York Review of Books, 20 novembre 2014.
[9] Hadar Aviram, Cheap on Crime: Recession-Era Politics and the Transformation of American Punishment, University of California Press, Oakland, 2015.
[10] «Justice Reform in the Deep South», The New York Times, New York, 18 maggio 2015.
[11] Per candidarsi alla carica di sceriffo, un «indipendente» deve raccogliere 50 firme di elettori. Ne occorrono 100 per concorrere alla carica di procuratore.
[12] John Nichols, «An inconvenient political truth: that St. Louis prosecutor is a Democrat», The Nation, New York, 26 novembre 2014.
(Traduzione di Cristina Guarnieri)