il Fatto Quotidiano, 17 dicembre 2015
Tags : Salvataggio delle quattro banche
Il pasticciaccio delle banche in dieci punti
Maria Elena Boschi se ne deve andare sì o no? Mettiamo in fila i fatti sin qui emersi che la riguardano nel pasticciaccio brutto delle banche del buco.
1) Il 20 gennaio 2015 il Consiglio dei ministri del governo Renzi vara un decreto che trasforma le banche popolari in società per azioni. Fra queste c’è Banca Etruria, di cui la Boschi è piccola azionista, il padre Pier Luigi è vicepresidente, membro del Cda e socio, e il fratello Emanuele è dirigente, dipendente e socio. Decreto forse doveroso. Ma le banche, già da tempo defunte secondo Bankitalia (fra cui Etruria), tornano appetibili sul mercato e continuano ad attirare risparmi come se fossero risorte. Per giorni regna il mistero sulla presenza della Boschi in quel Cdm, che configurerebbe un bel conflitto d’interessi. Fonti qualificate del Fatto assicurano che la Boschi c’era. Lei smentisce: “Ero in Parlamento a seguire le riforme istituzionali”. Purtroppo nessuno l’ha vista.
2) L’affare si complica quando si scopre che il decreto, annunciato a Borse chiuse per evitare speculazioni, era noto negli ambienti finanziari da parecchi giorni, tant’è che i titoli delle banche coinvolte erano lievitati per massicci acquisti alla vigilia (il record del rialzo lo registrò proprio Etruria, con un +65%). Insomma, qualcuno aveva violato il segreto. La Consob sospetta un caso gigantesco di insider trading. Ora Carlo De Benedetti, uno dei sospettati degli acquisti, replica che dell’imminente decreto sapevano tutti. Un segreto di Pulcinella. Chi, nel governo, se la cantò? E perché tanti acquisti proprio su Etruria?
3) Il 22 novembre il Consiglio dei ministri vara il decreto “salva-banche” che recepisce la direttiva europea sul bail-in: accolla al sistema bancario (non allo Stato perché non si può più) il costo del dissesto di quattro banche bollite, e lascia senza risarcimenti obbligazionisti subordinati e azionisti anche se sono stati truffati con informazioni false o incomplete sulla stato di salute delle medesime. Fra queste c’è di nuovo Banca Etruria, di cui papà Boschi non è più vicepresidente perché, dopo le severe censure di Bankitalia con multa di 140 mila euro, è uscito di scena col commissariamento (un atto dovuto del governo, non certo la prova di inflessibilità e imparzialità millantato da Renzi&Boschi). Stavolta è sicuro che la Boschi non partecipa, sempre per scansare il conflitto d’interessi.
4) C’è un terzo decreto sul bail-in, quello preparatorio del 16 novembre. Questo aggiunge alla norma europea una clausoletta (articolo 35 comma 3) che quella non prevede in materia di responsabilità degli amministratori. E, secondo alcune interpretazioni, rende più difficile per azionisti e singoli creditori l’azione di responsabilità per chiedere risarcimenti ai manager, ai membri dei Cda e ai commissari delle banche. Compreso papà Boschi, ex vicepresidente di Etruria. Che, grazie alla mancata equiparazione dello scioglimento di una banca al fallimento, non perde neppure i titoli necessari per andare ad amministrarne un’altra.
5) Poniamo che la Boschi si sia astenuta sia sul primo decreto (dubbio) sia sugli altri due (sicuro). Purtroppo però era presente alle tre riunioni preparatorie del secondo e del terzo, come ha documentato su Libero Franco Bechis. Infatti la lettera di accompagnamento del doppio provvedimento del 16 e del 22 novembre, datata 5 ottobre, è firmata Maria Elena Boschi. Ma in ogni caso astenersi dai Cdm non è un titolo di merito: è un atto dovuto per la legge Frattini sui conflitti d’interessi varata nel 2004 dal governo B., sempre contestata per la sua ridicolaggine dal centrosinistra che però, in barba alle promesse elettorali, non l’ha mai toccata. Articolo 3: “1. Sussiste situazione di conflitto di interessi ai sensi della presente legge quando il titolare di cariche di governo partecipa all’adozione di un atto, anche formulando la proposta, o omette un atto dovuto, trovandosi in situazione di incompatibilità… quando l’atto o l’omissione ha un’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate… con danno per l’interesse pubblico”. Quindi, astenendosi, la Boschi rispetta la legge di B. ed evita un conflitto d’interessi che lei stessa riconosce esistere.
6) Anche B. ogni tanto usciva dai Cdm mentre i suoi ministri decretavano ad suam personam (o aziendam): per esempio per salvare Rete4 dallo spegnimento imposto dalla Consulta. Una buffonata, perché B. era il dominus del governo e mai nessuno avrebbe approfittato della sua assenza per disobbedire ai suoi ordini. Ora, la Boschi non è il premier e non è neppure B.. E i decreti sulle banche non riguardano esclusivamente Etruria. Ma se allora tutto il centrosinistra rideva a crepapelle di B. che pensava di evitare il conflitto d’interessi uscendo dalla stanza, dovrebbe almeno sorridere dinanzi allo stesso escamotage della Boschi. Che non è un ministro qualsiasi: è la figura più in vista del governo dopo Renzi, la ministra di sua maggior fiducia, il simbolo della rivoluzione sorridente renziana. Qualcuno è così ingenuo da credere che, prima di uscire dalla stanza, la Boschi non parli con Renzi dei decreti sulle banche? Un conto è dire di aver rispettato la legge (Berlusconi-Frattini!). Un altro è negare un conflitto d’interessi visibile a occhio nudo.
7) Come ha rivelato il Fatto, il pm di Arezzo che indaga con grande prudenza sulla malagestione di Etruria (e quindi anche del Cda vicepresieduto da papà Boschi) è consulente giuridico di Palazzo Chigi (dove lavora, accanto a Renzi, la ministra Boschi). Lo è dai tempi del governo Letta, ma è stato confermato dal governo Renzi. Possibile che Renzi, la Boschi e il pm, che lo sapevano da ben prima che lo scoprissimo noi, non abbiano notato neppure questo, di conflitto d’interessi, e non abbiano deciso subito, all’esplodere del caso Etruria, di troncare quel rapporto per evidenti motivi di opportunità?
8) Avendo ricevuto, come i colleghi di altre procure, un esposto contro gli ex amministratori di Etruria dalle associazioni dei consumatori, può darsi che il pm di Arezzo iscriva anche papà Boschi sul registro degli indagati per vagliare le accuse. Se ciò accadesse, ancora una volta la Boschi non avrebbe alcun obbligo di dimettersi. Ma, restando al suo posto, diventerebbe un bersaglio ancor più facile per polemiche, sospetti e contestazioni, che trascinerebbero il premier in un gorgo senza fine, obbligandolo a difendere la fedelissima e la sua famiglia per vicende che nulla hanno a che fare con il governo e che al momento nessuno, nemmeno nel governo né probabilmente la Boschi, è oggi in grado di conoscere.
9) I paragoni con le dimissioni chieste o date da altri ministri (Alfano, Cancellieri, Lupi, De Girolamo e Idem) non reggono: la Boschi non è coinvolta né direttamente né indirettamente in inchieste penali. Ma le fughe di notizie sul primo decreto, lo scudo salva-amministratori e salva-papà del secondo e del terzo e l’imbarazzo – destinato a crescere – per gli sviluppi delle indagini sulla banca amministrata dal genitore creano un gigantesco caso di opportunità politica che dovrebbe suggerirle di farsi da parte per il bene suo e del governo.
10) Come disse lei stessa nel novembre 2013 a Ballarò su un caso diverso dal suo (la Cancellieri sospettata di interventi diretti per favorire la famiglia Ligresti), il punto “non è tanto se ci debbano essere o meno le dimissioni del ministro o se viene meno la fiducia nei confronti del governo. Il punto vero è che è in gioco la fiducia nelle istituzioni. Il punto grave è che ancora una volta si è data l’immagine di un paese in cui la legge non è uguale per tutti, ma ci sono delle corsie preferenziali per gli amici degli amici, per chi ha i santi in Paradiso. Io al suo posto mi sarei dimessa”. Parole sante. Come passa, il tempo.