Libero, 17 dicembre 2015
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Biografia di Verlaine, omosessuale e alcolista
Stefan Zweig per tutta la vita ha provato una forte attrazione verso ciò che era francese. A cominciare dai suoi primissimi lavori, alcune traduzioni di poesie di Baudelaire e Rimbaud subito seguite da una biografia tanto breve quanto complessa di Paul Verlaine, scritta nel 1903 e per più di cento anni rimasta inedita al di fuori dell’Austria. Zweig infatti ha scritto molto e non tutta quella mole di volumi è stata tradotta. Così il suo Verlaine esce per la prima volta in italiano da Castelvecchi con la cura di Milena Massalongo e la traduzione di Massimo De Pascale (pp. 90, euro 12,50).
Di fronte a questo testo che pochi conoscevano, i critici si sono dimostrati concordi: Zweig già possedeva quelle capacità che lo faranno diventare un grande biografo, ovvero il saper individuare le caratteristiche psicologiche più nascoste della persona di cui scrive e l’abilità nel presentare fatti già noti con una prosa che li romanza e li rende quasi inediti agli occhi di chi legge. Zweig quindi non si limita a raccontare i fatti della vita di Verlaine e preferisce sottolineare il modo in cui il poeta reagisce di fronte a quei fatti, sempre vittima degli eventi e delle persone che incontra. A cominciare da Rimbaud, il poeta con cui, dopo aver lasciato moglie e prole, avrà una relazione più che tempestosa, segnata da botte, bastonate, liti e pallottole. E uscendone sempre malconcio, visto che Verlaine è gracile e Rimbaud invece appare come «un ragazzone grande e grosso dotato di quella forza fisica demoniaca (...) un provinciale dalle gigantesche mani rosse».
Descrizione ben diversa da quanto si vede nella solita fotografia del poeta 17enne o nello stucchevole film Poeti dall’inferno con un efebico DiCaprio. Non doveva essere meglio Verlaine che Zweig ricorda «brutto come una scimmia, impacciato, timido e lascivo allo stesso tempo». Descrivendo questo rapporto, Zweig indugia soprattutto su un elemento: il perenne stato di ubriachezza in cui i due vivono. Il fiume verdastro dell’assenzio dal quale si lasciano trasportare, con una differenza sostanziale in quanto Rimbaud come nuotatore se la cava meglio del debole Verlaine che in ogni occasione della vita tende ad affondare.
Zweig ammira enormemente il poeta delle prime prove, non ha invece alcuna stima per l’uomo Verlaine, con quella sua personalità fragile, sottomessa e pessimista; una debolezza psichica e morale nata già nei suoi anni di bambino. Per puntare il dito contro l’uomo che non sa essere all’altezza del poeta, Zweig non usa l’arma del moralismo, bensì quella della comicità. Lui stesso definisce «tragicomico» il finale della storia tra Verlaine e Rimbaud, epilogo inevitabile che si verifica «quando il destino sfugge agli uomini e li sovrasta con la sua ombra, tanto che essi non sono ormai nient’altro che pigmei che, con mani minuscole, pretendono di trattenere il colosso che da lungo tempo li sopravanza».
Ridicolo è anche il modo in cui Zweig tratteggia il vecchio Verlaine che, perennemente ubriaco, racconta a chiunque la sua storia in cambio di un bicchiere d’assenzio. Ridicola è la sua figura abbigliata con vestaglia e cuffia quando, durante i frequenti ricoveri in ospedale, riceve gli studenti che l’hanno nominato Re dei Poeti francesi.