Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 17 Giovedì calendario

La favola dell’Alessandria: dalla Serie C ai quarti di finale di Coppa Italia

Hanno maglie color nebbia, color fumo di ciminiera, eppure questa è una storia piena di arcobaleno. E di gusto. Da cent’anni li chiamano “i grigi” perché è così che veste l’Alessandria, casacca unica al mondo, e sta diventando unica anche la sua Coppa Italia: una squadra di terza serie che manda a casa due pezzi di serie A, Palermo e Genoa, e due grandi città. Con un altro possibile balzo di fantasia: nei quarti, i grigi affronteranno lo Spezia e non la Roma, hai visto mai. Non male per un club fallito nel 2003, retrocesso per scommesse nel 2012, figlio di una città a sua volta con i libri contabili in tribunale per via di bilanci truccati (2011), e con 381 milioni di euro di debiti. Eppure l’Alessandria e Alessandria resistono, risalgono, galleggiano non soltanto su una metafora ma sulle acque dell’alluvione che ventuno anni fa uccise 14 persone, quando il Tanaro si mangiò anche lo stadio Moccagatta. Adesso quel dolore è asciugato. «Mi piace pensare a un riscatto parallelo», dice il sindaco Rita Rossa (tre dei quattro ultimi sindaci alessandrini sono donne, record mondiale). «Ero a Marassi, l’altra sera. Grande orgoglio! Lo sport è anche territorio, radici, fiducia nel lavoro duro. In città siamo usciti dal dissesto tagliando spese e stipendi, ora si torna a investire, asfalteremo strade, ci sarà finalmente il ponte sul Tanaro». Il presidente è un torinese con storica boutique in piazza San Carlo, si chiama Luca Di Masi, ha 39 anni e molto coraggio quando dice: «Senza offesa per la storia, che è vita, restare fermi a Rivera è riduttivo. Il passato è una forza e una trappola, lo so bene io che tifo Toro». Prima in classifica, l’Alessandria adesso punta alla B e ai diritti televisivi di Sky, 4 milioni e mezzo di euro: «Sarebbe la svolta, qui siamo gente solida». Una storia piena di gusto. L’associazione commercianti è il primo sponsor della squadra, e nelle trasferte porta cibi e vini, prodotti da forno soprattutto, perché nell’Alessandrino il grano è speciale: dunque amaretti, torta di Marengo, baci. «E poi gli agnolotti col nostro ripieno segreto, sempre primi ai concorsi», s’inorgoglisce il sindaco. Perché va bene la Coppa Italia, ma anche il Festival del Raviolotto non lo trascureremmo. Però il must sono forse i Baci di Gallina, non effusioni ruspanti ma specialità dell’omonima pasticceria che le propone in una scatola di alluminio con il calciatore Adolfo Baloncieri in effigie (123 partite, 7 gol), cartolina d’epoca numerata in appena 200 esemplari. Baloncieri, e poi Rava e Bertolini, Borel e Giovanni Ferrari, 7 scudetti, un monumento sportivo di cui oggi nessun ragazzo neppure immagina l’antica esistenza. E, certo, quel mingherlino che nel 1959 danzava dentro una gigantesca casacca color topo, Gianni Rivera di anni 16, con buona pace del presidente. Oppure Maurizio Sarri che quattro anni fa allenò qui. Lo ricordano con enorme stima, un fanatico dello schema e del lavoro. E comunque, chi non sogna è un poveretto. «Al calcio d’inizio siamo tutti 0-0, credete a un grande raschiatore di barili, uno che da giocatore aveva ben poco talento ma tanta voglia di alzare l’asticella». Lui sarebbe l’allenatore, Angelo Gregucci, stopper laziale in epoche d’oro, «quando una domenica avevi davanti Van Basten e quell’altra Maradona eppure imparavi, rubavi mestiere e ti riempivi gli occhi di bellezza. Lei, alla fine vince sempre. Il calcio è senso d’identità, molto più di un pallone». E adesso? «Adesso si prosegue la bellissima divagazione in Coppa Italia, però il primo pensiero è la serie B». Come, e forse perché, lo spiega il bomber Riccardo Bocalon, giustiziere a Marassi, capocannoniere: «Possiamo vincere perché siamo soprattutto belle persone». L’altra sera a Genova c’erano 21 torpedoni di tifosi, e 3 mila anime contente. A mezzanotte in tanti sono poi andati allo stadio Moccagatta, illuminato come un presepe. Canti, balli, cuori, cori, birra. È proprio bello il Moccagatta, liberty e screpolato, giallino e corroso dagli anni. La sede sociale sta sotto la gradinata, attorno ci sono case basse. Il posto da vedere è il bar interno, “Caffè Boasi dal 1930”. Ritagli di vecchi giornali, una testa d’orso di peluche (è il simbolo dell’Alessandria) appesa al muro. Qui vengono gli ultrà che si chiamano Sezione Veleno, Alticci- sezione Birre vuote, Materia Grigia, Orgoglio Grigio, Supporters 99, Head Out. E qui c’è Rossella Rossitto, la barista: «Le partite non le vedo mica, io preparo i panini, poi i ragazzi me le raccontano e io immagino». Qui, sul muro, c’è una riga: dove finisce il grigio e comincia il bianco era arrivata l’acqua del Tanaro, molto in alto, due metri almeno. Forse bisogna prima segnare il dolore, inciderlo da qualche parte, per scappare via da lui.