la Repubblica, 17 dicembre 2015
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I fisici del Cern alla ricerca del gravitone, cugino del bosone
Un’"anomalia”, una “fluttuazione": qualcosa di inspiegabile è apparso all’interno di Lhc, l’acceleratore di particelle più grande del mondo. Non è ancora una scoperta, non ha un nome né una spiegazione. Ma ai fisici del Cern, il laboratorio di Ginevra dedicato alla ricerca nucleare, sta dando l’opportunità di spalancare il loro affascinante ventaglio di interpretazioni sulla natura dell’universo. La “fluttuazione” nei dati di Lhc – annunciata martedì – è già stata interpretata come una possibile nuova particella. Forse un cugino del bosone di Higgs (che proprio al Cern fu scoperto nel 2012), ma sei volte più pesante. Forse un suo gemello, un frammento di materia chiamato gravitone che avrebbe il ruolo di trasmettere la forza di gravità e che, per esistere, presuppone la presenza di una quinta dimensione oltre alle quattro che conosciamo. E se non siamo ancora prossimi alla scoperta della materia oscura – una presenza misteriosa che sappiamo comporre un quarto dell’energia dell’universo, ma che non riusciamo a vedere in alcun modo – la nuova particella potrebbe essere un segnale per guidarci in quella direzione. Solo ieri, a 24 ore dall’annuncio dell’anomalia al Cern, i fisici avevano pubblicato una decina di articoli sul sito www.arxiv.org per provare a spiegare il “conto che non torna”. Quel che è certo è che Lhc, nel suo anello sotterraneo di 27 chilometri, fa scontrare protoni a una velocità prossima alla luce e a un’energia mai raggiunta da altri acceleratori. Nelle collisioni si producono nuove particelle dotate di vita brevissima che, decadendo, si trasformano in frammenti raccolti e analizzati dagli “occhi” rivelatori di Lhc. Nell’osservare questi frammenti, i fisici del Cern si sono trovati di fronte a un dato inaspettato: un eccesso di coppie di fotoni con energia totale di 750 GeV. Il GeV è un’unità di misura dell’energia e, per via dell’equivalenza fra energia e massa formulata da Einstein, indicherebbe anche la massa di questa nuova ipotetica particella, forse creata durante le collisioni ma dotata di vita brevissima e destinata a decadere in un piccolo lampo di luce, i fotoni appunto. Il bosone di Higgs fu scoperto al livello di 126 GeV, mentre la particella più massiccia conosciuta finora – il quark top – arriva a 173 GeV. Il fatto che le prime impronte dell’Higgs vennero annunciate come un eccesso di fotoni proprio a dicembre del 2011, nella conferenza di fine anno del Cern, per essere confermata a luglio dell’anno successivo, rappresenta per i fisici di Ginevra una coincidenza affascinante. «Entro l’estate avremo raccolto il triplo dei dati rispetto a ora. Sicuramente sapremo se la fluttuazione è una scoperta o è frutto del caso» spiega Tiziano Camporesi, lo scienziato del Cern e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare che dirige Cms, uno dei quattro “occhi” di Lhc puntati sulle collisioni. «Dopo la scoperta del bosone di Higgs – prosegue Camporesi – noi fisici abbiamo perso un faro che ci accompagnava da quarant’anni. Ora ci muoviamo in un terreno completamente inesplorato e a regimi di energia che nessun acceleratore aveva mai raggiunto prima». Il bosone di Higgs – teorizzato nel ’64 da Peter Higgs – era l’ultima particella descritta dai fisici teorici ma non ancora osservata dai fisici sperimentali. Colmata la lacuna, si sono superate delle colonne d’Ercole oltre le quali nessuno – né teorici né sperimentali – sa più cosa aspettarsi. E in cui ogni conto che non torna può essere un cancello spalancato su una meravigliosa scoperta.