La Stampa, 17 dicembre 2015
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Sulla carovana di Ciudadanos, il partito di Rivera che vuole prendersi la Spagna
Nella Plaza de Pombo di Santander c’è una piccola folla, militanti, simpatizzanti, curiosi, «se valesse la regola un selfie un voto, avremmo già vinto le elezioni», si scherza. Albert Rivera viaggia senza sosta per tutta la Spagna: dopo un giro lunghissimo, Baleari e Canarie comprese, mancava il Nord, e ieri è stato il turno della capitale della Cantabria, in una splendida baia sull’Atlantico, non lontano dai Paesi Baschi.
Le lodi dell’«Economist»
Ciudadanos, il partito che fino a pochi mesi fa esisteva solo in Catalogna (e senza suscitare entusiasmi) oggi è sulla bocca di tutti e non solo in patria. L’«Economist» ieri ha scritto che se votasse in Spagna sceglierebbe il partito arancione: «Un partito liberale, in un Paese nel quale il liberalismo non ha mai avuto spazio». Oggi Rivera vola a Bruxelles per incontrare i premier centristi dell’Ue. Hanno chiamato Ciudadanos per mesi il Podemos di destra. L’intento era dispregiativo, ma c’è del vero. Il partito degli indignados, infatti, ha aperto lo spazio, rompendo il duopolio Popolari-socialisti che non prevedeva soluzioni di continuità dal ritorno della democrazia in poi. Quando Pablo Iglesias ha cominciato a salire nei sondaggi, si è visto che una breccia c’era. Il movimento di Rivera, così, ha tentato il salto fuori dai confini catalani. Il suo «cambio politico», quello che gli indignados hanno chiesto in piazza due anni fa, oggi prende una via moderata, esplicitamente centrista.
Gli ultimi sondaggi dicono che il Pp sarà il primo partito, ma senza maggioranza assoluta. Dietro a Rajoy in tre si contendono il posto, i socialisti, Podemos e, appunto, Ciudadanos. Se con i primi due i popolari non possono nemmeno fare una foto (tra il premier e Sánchez del Psoe sono volati insulti l’altra sera in tv), con il movimento dei «Cittadini» in teoria le distanze non sarebbero abissali. Ovvio, quindi, che la pressione sia tanta, «serve stabilità» dice Rajoy in una dichiarazione apparentemente banale, ma che aveva un mittente: Albert Rivera. Ma la parola chiave del giovane catalano è cambiamento, un termine inconciliabile con un accordo con il Pp: «O faccio il premier o andiamo all’opposizione», ripete ai militanti. Gli elettori, dicono i sondaggi, arrivano da destra e da sinistra e sbilanciarsi sarebbe un rischio.
Albert, 36 anni, fa comizi rapidi e senza enfasi, strappa qualche applauso e vede tante teste che annuiscono. È sicuro di sé, ma ogni tanto si guarda intorno sorridendo, come se si rendesse conto che se fosse passato qui a Santander appena dieci mesi fa, quasi nessuno lo avrebbe riconosciuto. Invece oggi si fa quasi a botte per una foto.
Il programma elettorale
Il programma elettorale è vasto, ma un video diffuso prima degli incontri sintetizza bene la visione del mondo: prima la costituzione di Cadice, mito fondativo dello Stato, poi la guerra civile, descritta come fratelli che uccidono fratelli, senza le classiche categorie dell’antifascismo. La tesi è che, anche in democrazia, la Spagna continui a essere divisa in bande nemiche, ieri rossi e franchisti, oggi, con qualche differenza rilevante, Psoe e popolari. All’ora di pranzo Rivera ha in agenda un incontro con i giovani del Sardinero, la zona bene di Santander. Si lamentano della disoccupazione, della mancanza di prospettiva, lui annuisce, «la Spagna di oggi genera frustrazione». Poi, di nuovo in viaggio verso Bilbao, altro scenario non semplice. Per il trasferimento Albert sale sul bus della stampa, si rilassa, chiacchiere informali, racconta la sua vita dietro le quinte e poi comincia a parlare della sua passione, la politica. Alle porte di Bilbao i giornalisti lo informano dell’aggressione a Rajoy, lui prende il telefono e gli manda un sms di solidarietà. Scende dal pullman, i militanti baschi lo aspettano in un hotel, lui adegua il discorso attaccando i nazionalisti.
Le incognite sono tante, dietro ad Albert il partito esiste a malapena, i candidati non sono tutti così affidabili. L’unico volto spendibile è quello di Inés Arrimadas, capa dell’opposizione al parlamento catalano, una che ha sfidato gli indipendentisti in una terra non semplice. A Madrid sarà anche peggio.