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 2015  dicembre 17 Giovedì calendario

Palazzo Chigi vuole cambiare le regole di vigilanza sulle banche, ma intanto si pensa a un piano per insegnare agli italiani come fare investimenti

L’Europa, il mercato, l’equilibrio tra poteri. Se il governo Renzi avesse davvero la tentazione di riformare la vigilanza, la strada sarebbe più che in salita. A cominciare dal fatto che non si può toccare sul serio il sistema senza tenere conto di Bruxelles o meglio di Francoforte e dunque della Bce, madre di ogni vigilanza. Questo non significa che Palazzo Chigi non accarezzi l’idea di un rammendo alle norme, seppur non a breve. Per dare un segnale ai risparmiatori truffati o impauriti e per recuperare quel clima di fiducia interrotto dal pasticcio delle quattro banche e degli obbligazionisti azzerati. Cornice comunitaria a parte – per cui gli spazi di manovra dell’Italia vengono considerati angusti – il clima in Consob, Bankitalia e Isvap è tutto sommato tranquillo. «C’è più sintonia di quel che appare sui giornali», si ripete. A raffreddare i toni le apprezzate dichiarazioni del ministro Padoan che anche ieri ha ribadito un concetto chiave: che nella vicenda tutte le authority «hanno svolto i loro compiti con efficacia». Un nuovo attestato di fiducia, dopo martedì. Se il ministro fa quadrato, Palazzo Chigi è più irrequieto. E fa filtrare l’intenzione di intervenire per colmare buchi e carenze. «Ma noi una riforma della vigilanza ce l’abbiamo ed è la legge sul risparmio 2005», si fa notare. «Non è possibile che ogni legislatura ne inventi una». Se dunque rammendo dev’essere, che sia nel senso di dare più poteri. Consob ora vorrebbe poter vietare alle banche di piazzare bond subordinati. Come Bankitalia, che ora chiede una legge ad hoc. «Colmare le lacune, dare poteri, creare più sinergie», chiedono le authority. Poteri anche di rimuovere dirigenti inadeguati. E sinergie ora inesistenti persino nel flusso informativo se è vero che Consob, su Banca Marche, autorizzò un bond senza conoscere la lettera di Bankitalia sullo stato pietoso dell’istituto. «Ma attenti al dosaggio, o il mercato scappa. Ci mette un istante e si fa beffe delle norme più stringenti. Con l’esterovestizione si va in Lussemburgo e in Irlanda e si vende poi in Italia. Mentre noi perdiamo terreno». Intanto la maggioranza corre ai ripari per dotare l’Italia «entro sei mesi» di una «strategia nazionale per l’educazione finanziaria», con linee guida e misure organizzative che dovrebbero rendere il Tesoro la nuova cabina di regia per azioni decise di alfabetizzazione, che rendano gli italiani più esperti negli investimenti. L’iniziativa, che presenterà oggi alla Camera il Pd Marco Causi con un ordine del giorno collegato alla Stabilità, dovrebbe «coordinare i diversi soggetti che hanno assunto iniziative in materia, fra cui Banca d’Italia, Consob, Abi». Il governo – come sugli arbitrati per i rimborsi aisubordinati delle quattro banche – sembra volere le redini, perché, riporta il testo dell’Odg, «l’assenza di una coordinata strategia rischia di non raggiungere sufficiente massa critica», poi per ragioni di «terzietà», e per i possibili intrecci con «attività svolte dal sistema nazionale dell’istruzione». L’Italia è uno dei paesi dov’è più ampia la forbice tra i 3.500 miliardi di ricchezza privata (più di Usa e Germania) e la cultura degli investimenti. Un rapporto Ocse ha evidenziato come siamo l’unico paese Ue privo di una strategia nazionale di educazione finanziaria. Un ddl sul tema era già depositato dal senatore Pd Mauro Marino, ma ora l’iniziativa è urgente: tanto che Causi voleva farne un emendamento alla Stabilità. «Ma dopo che il salva-banche è confluito nella Stabilità, dati i tempi stretti abbiamo preferito un Odg, al voto subito dopo la legge di spesa, come impegno politico per gli atti conseguenti». Come istituire al Mef «un’unità organizzativa», che realizzi «un sito web dedicato», e predisporre «materiale divulgativo per scuole, università, radio e tv», sulla stregua del Money advice service britannico.