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 2015  dicembre 17 Giovedì calendario

«Varsavia non è Budapest». Così l’Europa rischia di perdere la Polonia (che ha già vietato la bandiera Ue)

Cortei e contro-cortei, un duello ai vertici dello Stato, il ministro della Cultura che tenta di bandire dai teatri La morte e la fanciulla di Elfriede Jelinek per «pornografia». La Polonia si avvita in una spirale che mette a dura prova la stabilità costruita nel processo di democratizzazione post-comunista. A neanche due mesi dal trionfo elettorale dei nazional-populisti di Diritto e giustizia (il partito di Jaroslaw Kaczynski), il Paese che ha vissuto una rivoluzione socio-economica senza eguali nel Centro-Est europeo torna a spaccarsi. Nell’ultima disputa, il governo e il centrodestra liberale che guidava il precedente esecutivo si contendono 5 nuove nomine sui 15 giudici «indipendenti» della Corte costituzionale: un caso che ha visto schierarsi contro il parere della stessa Corte anche il presidente della Repubblica Andrzej Duda, uomo di Kaczynski. Tra grida di «attacco alla democrazia» e «svolta putinista» la polarizzazione cresce, il consenso per il partito cala. Sabato a Varsavia hanno sfilato in 50 mila per marcare la distanza dall’Ungheria di Viktor Orbán – «Questa non è Budapest» – mentre si studiano norme sul controllo dell’informazione, la premier Beata Szydlo annuncia strette sull’immigrazione e vieta la bandiera Ue in conferenza stampa. Kaczynski promette riorganizzazione totale bollando il dissenso come alto tradimento e rilanciando il progetto di rifondazione morale dello Stato che nel suo breve governo (2006-07) significò rottura della coesione nazionale e scontro con Mosca, Berlino, Bruxelles. Dà l’allarme, isolato, il numero uno del Parlamento Ue Martin Schulz, «sembra un colpo di Stato». Nella generale distrazione, l’Europa rischia di perdere un pilastro dell’integrazione, chiave di volta nei rapporti con la Russia e nell’ordine politico-militare al confine orientale.