Corriere della Sera, 17 dicembre 2015
Napoli riscopre Purificato, il pittore dei contadini
La ricorrenza del centenario di un artista serve non solo a riportarlo in vita, ma anche a riscoprirlo, a rileggerne criticamente l’opera con serenità; lungi da simpatie, antipatie e pregiudizi. Emblematico il caso di Domenico Purificato (1915-1984), cui Napoli dedica, a Castel dell’Ovo, una mostra di 40 lavori, anni Sessanta-Ottanta (sino all’11 gennaio, catalogo Italarte). Altre esposizioni a Shanghai e Francoforte. Peccato che, a Milano, l’Accademia di Brera – diretta per circa un decennio dall’artista – si sia lasciata sfuggire l’occasione per ricordarlo adeguatamente. Fondi e Roma gli hanno intitolato un paio di scuole. Il Teatro sperimentale dell’Università La Sapienza allestirà uno spettacolo, Il figliol prodigo incontra Pulcinella, dedicato ai due dipinti di De Chirico e Purificato.
Castel dell’Ovo accoglie ragazze con i fiori bianchi o con i melograni, contadini, panorami, nature morte, maschere popolari, colazioni in riva al lago. Si coglie il senso di una teatralità che viene dall’esperienza cinematografica del pittore (ricordate scene e costumi per i Giorni d’amore di Giuseppe De Sanctis, con Marina Vlady e Marcello Mastroianni, per cui Purificato fu premiato a San Sebastian, assieme a Walt Disney?).
Ecco, è come se l’artista avesse allungato lo sguardo, e, in lontananza, si avvicendassero i personaggi che hanno caratterizzato la sua tavolozza. Non si dimentichi che l’artista di Fondi è stato un autorevole esponente del Neorealismo, nella versione che Alfonso Gatto definiva «la storia contadina, feudale ed ecclesiastica» della terra ciociara. Quando sulla scia di Guttuso, molti artisti si legheranno ai partiti e nei loro dipinti racconteranno le lotte di classe, Purificato resterà fedele al mondo della propria infanzia.
Posizione, questa, che lo penalizza, anche se in alcuni libri spiegherà come quel tipo di adesione al Neorealismo fosse per lui una condizione naturale. In fondo Purificato aveva fatto suo l’ avant-propos con cui, nel 1885, Gustave Courbet apriva il catalogo della propria mostra parigina (considerato poi il manifesto del Realismo): «Ho studiato al di fuori di qualsiasi sistema e senza prevenzioni, l’arte degli antichi e quella dei moderni. Non ho voluto imitare gli uni, né copiare gli altri; né ho considerato l’intenzione di raggiungere l’inutile meta dell’arte per l’arte. Ho voluto semplicemente ricavare, dalla perfetta conoscenza della tradizione, il sentimento ragionato e indipendente della mia individualità».
Purificato si muove su questa strada sin da quando, diciottenne, lascia la terra pontina e va a Roma. Il concittadino e amico Libero De Libero e Corrado Cagli lo introducono nel gruppo di giovani letterati e artisti che bazzicano la Galleria La Cometa di Mimì Pecci Blunt. Ci sono anche Scipione e Mafai, Alvaro e Fausto Pirandello, Capogrossi e Cecchi, Moravia e Tamburi, Savinio e Soffici, Ungaretti e Afro, Montale e Mirko.
Purificato lavora quasi d’istinto. Lontano da formule ed estetismi, crea un trait d’union fra tradizione dei mosaici e quella degli affreschi paleocristiani e romanici con la realtà che lo circonda. Per una certa «architettura» dei dipinti guarda a Giotto e Paolo Uccello, a Raffaello e Caravaggio, di cui studia movimenti, tecniche, narrativa e dai quali, soprattutto, capta il senso dello spettacolo che poi riscontra nella natura. Ma i suoi dipinti non sono riproduzioni dal vero; diversamente non avrebbero quel fascino del mistero e l’atmosfera incantatrice che li caratterizza. Così come il suo realismo non costeggia la politica e anche quando rappresenta i grandi drammi dell’Italia del tempo, vi si accosta con la misura ch’è propria della sua indole contadina. Iscritto al Pci dal ’47, il pittore frequenta Ingrao e Togliatti (che, nel ’51, gli assegna il Premio internazionale della Pace per I ragazzi di Tormarancio ), ma nel ’56 restituisce la tessera per i fatti d’Ungheria.
Purificato vive le tragedie nell’intimo: una sofferenza lirica, elegiaca, non epica ( Il discorso della montagna, La morte di Pulcinella all’assedio di Gaeta ). In proposito viene in mente quanto, nel ’62 – prima della mostra milanese di Palazzo Reale —, ha scritto Leonardo Borgese sul «Corriere della Sera»: «Non spigoli, mai, non sciabolate, non crude tinte, non maschere irose, né sfruttamento a freddo dell’orrore e della miseria. E così Purificato è abbastanza vicino al più sereno dei realisti sociali; vogliamo dire a Carlo Levi».