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 2015  dicembre 17 Giovedì calendario

Il silenzio di Margrethe Vestager dice molto. Tra Berlino che ha paura di dover salvare le banche italiane e i contribuenti che non ci devono rimettere

Margrethe Vestager non parla. Al commissario europeo alla Concorrenza, 47 anni, ex vicepremier danese della sinistra liberale, figlia di due pastori protestanti, madre di tre figli così instancabile che nel suo Paese ha ispirato una serie tv su una leader sempre di corsa fra famiglia e parlamento, non sfugge una parola. Da un anno Vestager ha in mano il futuro delle banche nella terza economia dell’area euro; eppure, ascoltandola, non lo si direbbe. 
Non si ricorda una sola frase del commissario europeo dedicata a spiegare la sua posizione sul sistema degli istituti di credito in Italia. Poco importa che l’attitudine dei suoi funzionari sia tale da bloccare di fatto la riforma di cui forse il Paese ha bisogno nel modo più pressante: una «bad bank». Quest’ultima è un’azienda, spesso forte di garanzia da parte dello Stato, costituita per comprare crediti in default delle banche e liberare così il sistema dal rischio di altri dissesti simili a quelli di banche come Etruria e Marche, o delle casse di risparmio di Ferrara e Chieti. In Italia i prestiti ad alto rischio di almeno parziale insolvenza – le «sofferenze» – sfiorano i duecento miliardi di euro. Eppure il denaro accantonato dalle banche per farvi fronte è poco più di metà. Il sistema nel complesso resta in media ancora sottocapitalizzato e avrà bisogno comunque di rafforzarsi. Ma senza una rapida ripulitura dei bilanci grazie a una «bad bank», non solo non potranno tornare i prestiti e gli investimenti necessari alla ripresa: più pericolosa ancora è la prospettiva che alcune banche continuino a dissanguarsi sui crediti deteriorati, fino ad aver bisogno di nuovi salvataggi. E dal 2016, secondo la legge europea, qualunque intervento pubblico implica sforbiciate alle obbligazioni degli investitori e ai conti della clientela. 
Anche per questo il silenzio di Margrethe Vestager è un’innovazione sorprendente. Da Karel Van Miert, fino a Mario Monti, i suoi predecessori non si erano mai tirati indietro: dallo smantellamento dell’Iri alle multe a Microsoft, erano sempre andati in pubblico a spiegare, difendere i principi legali, mettersi in gioco con parole di cui sapevano di dover rispondere. Anche nei tribunali. 
Si limita a far sapere che non può commentare perché «l’Italia non ha presentato un piano», una versione che il ministero dell’Economia di Roma ha contestato in un comunicato del mese scorso. Il silenzio del commissario è tale da far pensare che anche lei sia consapevole di non essere su un terreno molto solido. Di certo un esame delle norme europee e delle pratiche dei suoi servizi, fino ad ora, rivela un modo così selettivo di applicare le regole da sfiorare l’arbitrarietà. 
La contestazione, presentata solo a porte chiuse, è che l’Italia rischia di concedere aiuti di Stato ai suoi istituti. L’implicazione è che dovrebbe dunque colpire anche le azioni, obbligazioni e conti correnti su tutto il sistema: potenzialmente, milioni di persone. La garanzia sulle eventuali perdite della «bad bank» potrebbe infatti incoraggiare quest’azienda a comprare i crediti dalle banche a prezzi più alti di quelli «di mercato». E l’unica affermazione ufficiale dei portavoce della Commissione Ue è che quelle cessioni devono invece avvenire ai prezzi che accetterebbe un investitore privato. Per il complesso degli istituti italiani questo significherebbe aprire un buco di capitale da circa 40 miliardi, visto che le stime sul valore delle «sofferenze» a bilancio (accettate dalla Banca centrale europea) sono molto superiori ai prezzi di mercato di questa mattina. 
Nel caso delle banche, la posizione dei funzionari di Vestager contraddice la logica finanziaria, la pratica internazionale e il confronto con la normativa europea. A partire dalla Bce, tutti i regolatori accettano che i crediti deteriorati nei bilanci delle banche abbiano un valore economico realizzabile negli anni ben superiore al prezzo a cui possono essere liquidati in un giorno. Le regole contabili globali li stimano così. La Bce li stima così. L’amministrazione americana li ha trattati così quando ha fatto l’esame agli istituti di Wall Street nel 2009. 
Soprattutto, anche la normativa europea li tratta così. La comunicazione della Commissione su questo tema del 25 febbraio 2009 riconosce (punto 5.5-40) che il «valore economico sottostante di lungo periodo (il “vero valore economico”)» delle sofferenze bancarie può essere “un criterio accettabile” quando si valuta se ci sia o meno un aiuto di Stato. Può esserlo in casi frequenti oggi in Italia: prezzi di mercato «distanti dai prezzi di bilancio» o «inesistenti per l’assenza di un mercato». Questa regola della Commissione è ignorata dai funzionari di Vestager. Più sorprendente ancora: vengono ignorate anche le norme sulle deroghe all’obbligo di colpire i risparmiatori. Queste esenzioni sono specificate all’articolo 27 della direttiva del 2014 sulle ristrutturazioni bancarie e all’articolo 45 della comunicazione del 2013 sull’aiuto di Stato alle banche. In quest’ultima si legge: «È possibile derogare (alla sforbiciata sul risparmio, ndr) se tale misura metterebbe in pericolo la stabilità finanziaria o determinerebbe risultati sproporzionati». 
Di certo se una «bad bank» fosse considerata aiuto di Stato, la devastazione del pubblico risparmio sarebbe davvero «sproporzionata». Ma qui arriva un’altra sorpresa: malgrado le possibili implicazioni, sul caso Italia gli uomini di Vestager non hanno mai consultato la Bce. E anche questa sembra una violazione dello spirito della legge, perché la stessa comunicazione della Commissione del 2009 indica che va ascoltata l’autorità di vigilanza. 
Non resta che chiedersi perché la Commissione, tante volte utile agli italiani con i suoi duri interventi, possa sbandare tanto. La risposta è forse in un documento fatto circolare dal ministero delle Finanze tedesco. Recita: «È di fondamentale importanza minimizzare i rischi a carico dei contribuenti. Occorre assicurare un credibile bail-in (la cancellazione di investimenti e risparmi, ndr), invece di mettere in comune i rischi bancari». Berlino teme di pagare per salvare le banche italiane e dà mandato alla Commissione di essere inflessibile. 
L’Italia può ringraziare anche se stessa, per questa sorda tragedia burocratica: il rifiuto di ridurre il debito e gli insulti del premier agli euroburocrati hanno alimentato una diffidenza che ora il Paese paga. Ma Vestager rischia di tradire il suo mandato di arbitro imparziale, cercando di non assumersi la propria responsabilità.