Corriere della Sera, 17 dicembre 2015
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Le verità di Giuseppe Fornasari. L’ex presidente di Banca Etruria si sfoga
Sull’interregionale che alle 10.07 passa per Arezzo diretto a Roma, sale – ieri mattina – l’ex presidente di Banca Etruria dal 2009 al 2014, Giuseppe Fornasari. Intorno, una piccola folla di viaggiatori: nessuno lo riconosce. Accanto a sé, sulla poltrona azzurra, l’ex presidente tiene poggiato il cellulare: ha il display frantumato, «è stato il mio cane Ettore – spiega – un bovaro del Bernese che pesa 60 chili e risente anche lui della tensione che si respira in casa. Qualche giorno fa lo ha azzannato come fosse un osso».
Già, la tensione dev’essere notevole. Gli occhi di Fornasari, nelle 2 ore e 40 di viaggio, s’inumidiranno più volte: «Ogni mattina parlo con qualcuno, lassù – indica il cielo —. La mia coscienza è pulita, io sono sereno. Purtroppo però, davanti a questa montagna di fango, non so quanto tempo passerà prima di riuscire a far chiarezza. E ciò che temo è che sia prima io a passare...».
Quella che segue, perciò, non è un’intervista («I miei bravi avvocati Paola Severino e Antonio D’Avirro me le hanno vietate») ma il lungo sfogo di un uomo che dice di aver letto tante «balle» sui giornali e ora sente improvviso l’impulso di correggerle: «Le ho già spiegate a mia moglie, a mia figlia e ai quattro amici che ho. Vorrei però che sapessero tutti».
Ecco, dunque, la verità sulla Banca Etruria di Giuseppe Fornasari, 66 anni, ex Azione Cattolica e sinistra dc, deputato a 27 anni, buon amico di Ciriaco De Mita e Aldo Moro, sottosegretario all’Industria con Andreotti, indagato dalla Procura di Arezzo per il crac della banca che ha presieduto per un quinquennio: «Ma dal febbraio 2014 – racconta – non ho mai avuto ancora il piacere di vedere il procuratore (Roberto Rossi, ndr ). Mai interrogato. Nel frattempo è caduta l’accusa di falso in bilancio, è rimasto solo il reato ipotizzato di ostacolo alla vigilanza. Ma quale ostacolo, dico io, se da sempre è tutto scritto e comunicato a chi di dovere? E mi trovo adesso in questa situazione senza aver mai firmato una carta! Perché non è il presidente che decide i fidi. Ad assegnarli è uno speciale organo interno che si chiama “Comitato del credito” e solo per i più ingenti ci pensa l’esecutivo, di cui però non facevo parte». Sarebbero solo «balle», dunque, i fidi concessi allegramente agli amici degli amici da Banca Etruria? E pure quelli – da 20 milioni per ciascuno! – che si sarebbero autoconcessi i membri del Cda? «Ma quali 20 milioni? – sbotta – Chi li ha mai visti? Dove sta scritto questo presunto diritto? Non è vero. La moglie di Pier Luigi Boschi, la mamma della ministra, ha ragione: anche loro non hanno preso un euro dalla banca. Io mi autoridussi perfino lo stipendio...».
E i finanziamenti al porto di Caltagirone a Imperia? «Quelli li decise il mio predecessore Faralli (Elio Faralli, morto nel 2013, ndr ), io Caltagirone non l’ho mai visto in faccia. Certo, mi chiedo cosa c’entrasse Imperia con Arezzo. Ma posso parlare solo di Civitavecchia, dei milioni da noi sborsati per il cantiere del superyacht, quando nel 2010-2011 ci eravamo già fusi con la Banca dell’Alto Lazio e dunque rappresentavamo il territorio. Un cantiere che avrebbe dato lavoro a 3-4 mila persone e il sindaco laziale che veniva sotto casa a chiedermi d’intervenire. Così Banca Etruria finanziò l’opera con 5 milioni. Ma poi per altri 15 ci fu l’intervento di un pool: noi insieme a Unicredit, Intesa, Montepaschi, con garanzie di Barclays e Lloyds di Londra. Insomma...».
Capitolo obbligazioni subordinate: «Nessun incentivo o premio abbiamo mai promesso ai dipendenti per piazzare i bond. E a pagina 3 del prospetto informativo erano ben evidenziati i rischi. Peraltro io in extremis l’Etruria l’avevo pure salvata. Avevo trovato l’accordo con la popolare di Vicenza e avrebbe fatto contenti tutti: azionisti, risparmiatori, dipendenti. Con 200 sportelli solo in Toscana e la sinergia dell’oro tra Vicenza e Arezzo che avrebbe potuto rilanciare il nostro territorio, dove la crisi economica e i concordati in bianco di Tremonti han fatto saltare i conti della banca. Il mio piano, però, è stato bocciato da chi è venuto dopo (Lorenzo Rosi, indagato anche lui, ndr ). Il salvataggio che c’è stato adesso, però, lo chiamerei in un altro modo: il valore dei crediti deteriorati, i cosiddetti npl, è stato abbattuto dell’85%. Per qualcuno sar à l’affare della vita...».