La Gazzetta dello Sport, 16 dicembre 2015
Prima di morire Coppi ha voluto vedere Rivera
Quel giorno il cielo era sereno e l’aria pungente. Fausto Coppi sentiva freddo, qualche brivido. Si misurò la febbre, ma il termometro salì di pochi gradi: soltanto un po’ di debolezza. Subito dopo aver fatto colazione, nella sua casa di Novi Ligure, telefonò a Raphael Geminiani: erano appena rientrati dall’Africa dove avevano partecipato a una corsa ciclistica e a una battuta di caccia. Da qualche giorno Geminiani non stava bene. Disse a Fausto che la situazione peggiorava, l’influenza non passava nemmeno con gli antibiotici. «Vedrai che non è niente di grave – lo rincuorò Fausto -. Io oggi vado allo stadio: c’è Genoa-Alessandria. Voglio vedere quel ragazzino di cui tutti parlano: Gianni Rivera». I due amici si salutarono e si diedero appuntamento per gli auguri di Natale. Era domenica 20 dicembre 1959.
«ENORME IMPRESSIONE»
Arrivò a Marassi, firmò decine di autografi, si accomodò in tribuna e si preparò ad assistere alla partita. Era la dodicesima giornata di Serie A, i grigi dell’Alessandria, guidati dall’allenatore Pedroni, navigavano nelle zone basse della classifica. Al Genoa di Carver andava peggio: ultimo. In testa c’era la Juventus di Boniperti, Charles e Sivori, che quel giorno era attesa dall’Udinese. Ma a Coppi, del campionato, poco importava. Lui voleva vedere all’opera Rivera, glielo avevano descritto come un autentico fenomeno nonostante avesse soltanto sedici anni. Figlio di un ferroviere, cresciuto con il desiderio di diventare Coppi, cioè il Campionissimo, Rivera aveva debuttato in Serie A nella stagione precedente, il 2 giugno 1959, in Alessandria-Inter, e da allora il suo nome era sulla bocca di tutti i tifosi. Quella domenica a Marassi giocò bene ma non incantò, anche perché l’Alessandria si chiuse in difesa appena uscita dagli spogliatoi e lì rimase per tutta la partita. Il cronista della Gazzetta dello Sport Aldo Merlo, riferendosi all’atteggiamento della squadra piemontese, scrisse che pareva «una corazza d’acciaio di impressionante saldezza». E, nell’elencare i giocatori che più lo avevano colpito, il giornalista fece i nomi di Tacchi, di Maccararo e del «minorenne Rivera, nuovo per queste scene, sulle quali ha prodotto enorme impressione». Una vera e propria investitura. La prova tutta grinta e orgoglio, tuttavia, non bastò all’Alessandria per evitare la sconfitta: 1-0 per il Genoa, gol di Abbadie.
L’ULTIMO NATALE
Coppi, deluso per il risultato, rientrò a Novi Ligure e iniziò a fare progetti per i giorni prenatalizi. Con l’ex gregario e amico Ettore Milano aveva in programma una battuta di caccia nella sua tenuta, poi doveva far visita a una società sportiva locale e partecipare a un ricevimento. Nonostante la febbriciattola cominciasse a indebolirlo, non si mise a letto: fermarsi non era da lui. Trascorse le feste in casa, assieme a Giulia Occhini, la «Dama Bianca», e al figlioletto Faustino. Il giorno di Santo Stefano telefonò a casa della prima moglie, la signora Bruna, e parlò con l’altra sua figlia, Marina. Uscì poco, qualche breve passeggiata e nient’altro. Domenica 27 dicembre, mentre l’Alessandria del giovane Rivera incassava una brutta sconfitta (0-4) a Palermo, Coppi rinunciò a un’altra battuta di caccia. All’amico Milano disse che non stava bene: la febbre non gli dava tregua, ora era arrivata a 38 gradi. I dottori che lo visitarono non ci capirono nulla, nessuno collegò quello stato di sofferenza con il recente viaggio in Africa e quindi con la possibilità che avesse contratto la malaria. Il primo giorno del 1960 Coppi, ormai moribondo, venne ricoverato all’ospedale di Tortona. Il 2 gennaio si spense. A piangerlo, in mezzo a cinquantamila persone sconvolte dal dolore, anche un ragazzino. Era Gianni Rivera.