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 2015  dicembre 16 Mercoledì calendario

La coalizione saudita. A Riad il patto fra 34 nazioni per combattere l’Isis (e l’Iran)

L’Arabia Saudita crea una coalizione militare di trentaquattro Stati sunniti che si prepara a coordinare ogni tipo di interventi in Iraq, Siria, Libia, Egitto e Afghanistan al fine di «combattere il terrorismo» jihadista e arginare la crescente egemonia dell’Iran. 
Il patto che cambia la mappa strategica di Nord Africa e Medio Oriente è stato siglato a Riad con la pubblicazione di un documento incentrato sul «dovere di proteggere la nazione dell’Islam dal Male portato da tutti i gruppi e le organizzazione terroristiche». La descrizione della nuova alleanza ne suggerisce potenzialità e scopi. 
I pilastri sono le potenze sunnite di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Egitto e Pakistan che sommano i maggiori arsenali regionali e sono protagoniste delle operazioni già in corso in Iraq-Siria contro Isis e in Yemen contro gli houthi. Al loro fianco vi sono le monarchie del Golfo destinate a diventare il motore finanziario e una folta pattuglia di nazioni africane – dal Marocco alla Nigeria, dal Benin alla Mauritania – che suggerisce la volontà di aggredire i «terroristi» anche lì dove operano Boko Haram, gli Shabaab, Al Qaeda in Maghreb e i vari gruppi salafiti del Sahel. L’inclusione di Libia, Egitto, Giordania, Somalia e Yemen legittima da subito la coalizione a intervenire sui territori di queste nazioni lì dove sono minacciate da gruppi terroristi. E l’adesione dell’Anp sottolinea il timore di Abu Mazen di subire il contagio jihadista. 
La pattuglia degli esclusi
Il resto lo suggerisce la lista degli esclusi: la Siria di Assad, l’Iraq e il Libano ovvero gli alleati arabi dell’Iran di Ali Khamenei – anch’egli non invitato a Riad – rivale strategico dell’Arabia nella creazione dei nuovi equilibri regionali sotto l’impatto della dissoluzione degli Stati post-coloniali. A confermare la sfida a Teheran c’è l’esclusione dell’Oman del Sultano Qaboos, facilitatore dei negoziati segreti sul nucleare iraniano sospettato da Riad di fiancheggiare Teheran. «I nostri Paesi condivideranno intelligence, addestramento e forniranno se necessario truppe per combattere Isis in Siria e Iraq» spiega il ministro degli Esteri saudita, Adel al-Jubeir, precisando che «ogni forma di cooperazione è possibile» come anche la volontà di operare «nel quadro delle organizzazioni internazionali». È la formula, concordata con Washington, che porta al plauso esplicito della Casa Bianca perché preannuncia la volontà di mettere a disposizione truppe sunnite per operazioni sotto l’egida di Onu, Organizzazione della conferenza islamica e Lega araba.
Le prove nello Yemen
Per capire quanto si sta preparando bisogna guardare al cerimoniale scelto da Riad per comunicare il patto: una rara conferenza stampa di Mohammed bin Salman, principe ereditario e ministro della Difesa nonché nemico giurato dei jihadisti e regista dell’intervento militare pansunnita in Yemen riuscito a reinsediare il presidente Abdel Rabbo Mansour Hadi rovesciato dai ribelli houthi sostenuti – secondo Riad – dagli iraniani. 
Il resto lo dice al-Jubeir: «Sono in corso colloqui fra noi, gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar e il Bahrein sulla possibilità di inviare in Siria contingenti di truppe speciali a sostegno della coalizione guidata dagli Usa». Ovvero: è iniziato il conto alla rovescia per l’intervento sunnita in Siria, da tempo richiesto dal Pentagono al fine non solo di smantellare lo Stato Islamico (Isis) di Abu Bakr al-Baghdadi ma di contrastare i piani della coalizione militare guidata dalla Russia di Vladimir Putin e composta da Assad, Iran, Iraq ed Hezbollah. 
A evidenziare il debutto del duello strategico fra le due coalizioni c’è quanto Mohammed bin Salman, figlio del monarca wahhabita, tiene a precisare: «Avremo una sala operazioni congiunta a Riad» in competizione con quella di Baghdad dei rivali russo-sciiti. Ciò significa che a neanche una settimana dalla nascita della coalizione fra i gruppi siriani anti-Assad, Riad genera un patto fra Stati sunniti per ridisegnare gli equilibri in un arco di crisi che si estende per oltre 9000 km dallo Stretto di Gibilterra alle vette dell’Hindu Kush. Per Putin significa che la sfida iniziata con la Turchia è destinata ad avere dimensioni assai più ampie e conseguenze assai difficili da prevedere.