Il Sole 24 Ore, 16 dicembre 2015
La Fed e la rotta di una politica monetaria che non c’è
Non quando, ma come: ovvero, cosa annuncerà domani Janet Yellen? Una semplice variazione del livello dei tassi di interesse, oppure una nuova rotta della politica monetaria americana per i prossimi mesi? La vera novità per i mercati finanziari e per l’economia mondiale sarebbe la seconda. Una maggiore prevedibilità delle scelte della Fed sarebbe una bella notizia per tutti, inclusa la stessa banca centrale, che, alla vigilia delle elezioni americane, sta diventando un bersaglio del partito repubblicano. E questa non è una buona notizia per nessuno.
A poche ore dall’annuncio della decisione della Fed in merito al livello dei tassi di interesse, la decisione sembra essere scontata, almeno leggendo le aspettative di mercati ed analisti: dopo quasi un decennio dall’ultimo innalzamento, i tassi avrebbero muoversi di venticinque punti base verso l’alto. Ma la vera domanda è un’altra: la banca centrale offrirà informazioni e spiegazioni sufficienti per identificare nuovamente una regola di politica monetaria, dopo un lungo periodo di opacità?
Da mesi la Fed non ha una rotta di politica monetaria; una scelta che è stata finora giustificata con la forte incertezza interna ed internazionale che caratterizza il contesto macroeconomico. È una spiegazione debole; in altre fasi congiunturali, anche molto recenti, ed in altri contesti istituzionali – comunque avanzati – il livello di incertezza economico e finanziario era, ed è, almeno altrettanto alto. Questo non ha impedito alle banche centrali coinvolte di definire e rispettare delle regole monetarie. Vi è un’altra possibile spiegazione: non c’è uniformità di vedute all’interno del consiglio della Fed su quella che è la regola migliore da seguire per normalizzare la politica monetaria americana.
Infatti le posizioni che si possono identificare sono almeno quattro, e dipendono dalla risposta che si dà a due diverse domande che riguardano la strategia della politica monetaria.
La prima domanda è se la politica dei tassi di interesse deve essere anti-ciclica o no.
La seconda domanda è se siamo ancora in una situazione macroeconomica straordinaria, causata da un ristagno di domanda e/o di investimenti, che perpetua una situazione anemica nella dinamica dei rendimenti e della produttività reale. Per cui, nella oramai tradizionale contrapposizione tra colombe e falchi, si può identificare una posizione moderata, ed una radicale.
Le posizioni moderate – in entrambi gli schieramenti – sono sostenute da chi ritiene che la politica monetaria debba tornare ad avere un approccio decisamente anti-ciclico. Dato il ciclo economico, il compito della politica monetaria è quello di stabilizzarlo, guardando alla dinamica dei prezzi, da un lato, e di crescita ed occupazione dall’altro. I moderati si spaccano quando ci si interroga sullo stato complessivo dell’economia. Le colombe moderate ritengono che il sistema stia vivendo ancora una fase straordinaria di ristagno. Questo significa che rendimenti e produttività sono e rimarranno a livelli eccezionalmente bassi. Per cui anche i tassi della Fed dovranno rimanere strutturalmente bassi, ancorché variabili (opzione Evans, battezzandola come uno dei governatori Fed che nei fatti la sostiene). Di parere opposto sono i falchi moderati: l’economia americana è uscita da tempo dalla fase recessiva, quindi occorre evitare surriscaldamenti che inneschino una nuova destabilizzazione, magari attraverso le dinamiche anomale della finanza. Quindi i tassi devono tornare a livelli normali, allontanandosi dal pavimento del livello nullo, per poter oscillare in senso anticiclico (opzione Bullard, altro governatore Fed).
Ma ci sono anche le posizioni radicali, che partono da un presupposto opposto. Per i moderati, nel rapporto tra ciclo economico e tassi di interesse la gallina è il ciclo economico ed i tassi di interesse sono l’uovo. I radicali cambiano la prospettiva: se il vero motore della crescita economica sono le aspettative, ed esse si formano sulle scelte delle banche centrali, la stabilizzazione del ciclo è legata alla stabilizzazione delle aspettative. Allora le colombe radicali sostengono che in un momento di aspettative di crescita reale e nominale bassa, i tassi nominali devono rimanere bassi e stabili, finché migliori prospettive di crescita e di investimento traineranno nuovamente verso l’alto rendimenti e produttività, e quindi solo dopo i tassi della Fed. Altrimenti, si rischia di strozzare la ripresa economica (opzione Kocherlakota, ennesimo governatore Fed).
Ma se il rapporto tra aspettative e tassi di interesse si muovesse in senso contrario? Con aspettative razionali, sono le prospettive di crescita e di inflazione che dipendono dalla dinamica dei tassi di interesse; per cui, per uscire dal rischio di stagnazione, occorre stabilizzare sì i tassi di interesse, ma verso l’lto (opzione Cochrane, economista di Chicago).
Dunque, quando sulla tolda di una nave le possibili rotte sono almeno quattro, il comandante cosa fa? Può scegliere l’opzione Yellen, vale a dire continuare a scarrocciare tra i flutti. Rischiando – come gli incauti marinai di Ulisse con l’otre di Eolo – di fare aumentare ulteriormente i marosi con il proprio comportamento. Ovvero fare come Ulisse con le sirene: scegliere autonomamente, una regola monetaria, legarla agli obiettivi statutari, poi applicarla e difenderla. Mercati ed economia mondiale ringrazierebbero, ed anche la posizione della Fed si rafforzerebbe. Non è un mistero che i repubblicani vorrebbero ridurre l’autonomia della Fed nel definire il percorso dei tassi di interesse, legandoli meccanicamente ad una norma legislativa. Questa sì sarebbe una sconfitta, e non solo per la banca centrale americana.