Il Messaggero, 16 dicembre 2015
Tags : Luca Odevaine
Odevaine, il lanciatore di pizzini sparge i suoi veleni
È il lanciatore di pizzini. È il continuatore di Mafia Capitale sotto nuove spoglie. Prima Luca Odevaine era quello che metteva in comunicazione, rendendo fluido il meccanismo criminale sulla pelle di Roma, i tre pezzi del potere marcio unificato. Quello della malapolitica, quello della mala amministrazione pubblica, quello della malavita non più somigliante alla delinquenza di sempre ma protagonista di un salto di qualità sintetizzato da queste parole del sodalizio Odevaine: «Roma è nostra». Non diceva più o meno così anche il dandy di Romanzo Criminale? Sì: «Ci siamo presi Roma». Prima di diventare il lanciatore di pizzini – ossia il pentito a singhiozzo ad uso della improbabile salvezza del Pd, dei suoi referenti oscuri, della sua storia tutta a sinistra e della memoria di chi lo ha creato e protetto e i suoi vuoti di memoria nelle carte processuali servono appunto a proteggere i complici sia politici sia imprenditoriali – Odevaine è stato l’incarnazione di quel “mondo di mezzo” che aveva bisogno di un criminale con il suo profilo e con il suo spessore per mangiarsi la Capitale.
Se Cesare Lombroso nella sua casistica anche psicosomatica dei delinquenti avesse avuto tra le mani Odevaine, lo avrebbe probabilmente inserito nella categoria di coloro che dietro una disinvoltura pseudo elegante – come quella sfoggiata dal lanciatore di pizzini nella prima udienza del processone a Mafia Capitale – nascondono la propria criminalità sotto le apparenze di un uomo di mondo. Ma di un piccolo mondo, quello dei salotti, della sinistra pariolina e degli affari loschi.
L’IMMAGINE
Del resto Odevaine, in maniera sinistra, ha sempre puntato tutto sull’immagine. Da quando frequentava gli ambienti extraparlamentari alla fine degli anni ’60 ed era iscritto alla sezione del Pci di Ponte Milvio fino all’altro giorno, quando si è presentato sul banco degli imputati a piazzale Clodio nascosto in un elegante completo grigio e la barba trendy da attore maledetto. Non sufficiente però a mascherarlo e ad allontanare tutte le domande che il personaggio da cuore di tenebra de’ noantri, si attira addosso. Chi sta coprendo Odevaine, con il suo “pentimento a la carte”? E per conto di chi lancia – da pentito di seconda classe – i suoi pizzini che hanno scatenato in queste settimane una pioggia di querele e di smentite che ne svelano il carattere strumentale e di continuità criminogena?
E ancora, tornando indietro nel tempo: chi ha favorito la sua ascesa? Il milieu di provenienza di Odevaine è quello della politica ai tempi in cui erano in auge, con Veltroni sindaco, una sorta di ministro dell’armonia quale Goffredo Bettini (a cui Odevaine si rivolge con frequenza) e imprenditori di sistema come i Parnasi.
Prima di entrare nella cerchia radical-progressista, imparentandosi con la ex ministra Giovanna Melandri e dirigere i vigili della Provincia, Odevain (proprio così, senza la “e” finale) scivolò in una storia di droga che gli costò una condanna a due anni di reclusione. Un indulto provvidenziale cancellò la pena, ma lui preferì sparire dalla circolazione. Parecchi mesi dopo ricomparve nei circoli di Legambiente, che prima frequentava solo saltuariamente. Il giovane Odevain intanto si preparava già a ripartire, con una parentela importante e un cognome nuovo: sua sorella sposa il cognato della Melandri, ministro in quattro diverse legislature; e lui aggiunge una “e” al cognome per rendersi invisibile al casellario giudiziario della Capitale. Non se ne accorgerà nessuno – almeno così sembrava – per 26 anni di questo pirandellismo alla vaccinara. O forse di questo reato, come lascia intendere il gip Costantini nell’ordinanza di Mafia Capitale, nessuno vuole accorgersi perché Odevaine è parente (e protetto) di un ministro della Repubblica. A riportarlo con i piedi per terra è l’ambasciata Usa a Roma, tre anni fa, che se ne infischia della parentele e gli nega il visto per un viaggio già programmato negli Stati Uniti. Lui se ne duole al telefono: «È veramente una cosa assurda, in una democrazia come quella, che uno sia stato riabilitato e comunque ha avuto ruoli pubblici e tutto quanto, tu non puoi anda’ negli Stati Uniti».
Dopo si scoprirà che i poteri marci hanno trovato in lui la loro sintesi. Intanto Veltroni è diventato sindaco. E a Odevaine viene appaltato il settore dei centri sociali e degli occupanti abusivi delle case. Veltroni storce il naso, come il suo capo segreteria, Walter Verini, oggi parlamentare Pd. Ma alla fine accettano la richiesta di nominarlo. Gli danno la delega al sociale, visto che proviene dai centri sociali. Poi alla sicurezza. Lo mandano persino a rappresentare il sindaco nei Comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica. Senza volerlo, lo fanno diventare potente. Odevaine capisce che con il disagio sociale ci poteva fare i soldi, dentro e soprattutto fuori dagli steccati della legalità. Diventa esperto di centri di accoglienza, di Sprar, di Cara e su quest’ultimo (in Sicilia) spargerà le sue ombre e ora sta spargendo i suoi veleni pseudopolitici. Intanto ha sposato una venezuelana, Nitza del Valle, che gli dá un figlio. Lei non lavora, lui la mantiene. Grazie al mestiere mafioso di cui si sente un professionista: «Sono un facilitatore», dice a tutti. Anche a Buzzi, che si fa “facilitare” alcuni appalti, soprattutto quando Veltroni si dimette e Odevaine resta (per poco) nello staff del neo sindaco Alemanno. Buzzi in cambio gli paga uno stipendio, cinquemila euro al mese, che versa direttamente sul conto di Nitza del Valle. Anche se ormai sono separati e Odevaine frequenta assiduamente altre donne che lo costringono ad un tenore di vita al di sopra delle sue possibilità.
ALLA PORTA
Intanto Alemanno lo ha messo alla porta, convinto che dietro Odevaine si nasconda un serpente. Egli si vendica in privato, inventando a ruota libera: «Alemanno si porta le valige di denaro in Argentina con il figlio; un suo coinquilino vuole denunciarlo». Gli investigatori indagano e capiscono che è tutto falso. Qualche tempo dopo lo arrestano con gli altri sodali di Mafia Capitale. E la procura lo interroga. Passano undici mesi di carcere e Odevaine capisce che intorno a quegli interrogatori si gioca il suo ritorno a casa. Allora mette insieme qualche episodio, confondendo nomi e date. Blandisce gli investigatori, regala spezzoni di scenari suggestivi anche se già smentiti dalle indagini.
Comunque si mostra piegato e questo basta alla procura per rimandarlo a casa. Gli schizzi di fango che escono dai suoi racconti restano lettera morta. Sono talmente campati per aria, che in alcuni casi gli investigatori li ritengono talmente infondati da non ritenerli degni di approfondimento. Così dall’inchiesta emerge solo la parte in chiaro del personaggio, quella di Odevaine come faccendiere. Il lato più oscuro del lanciatore di pizzini ancora ha bisogno di essere completamente illuminato. Perché dentro il mistero Odevaine si possono annidare i più torbidi tentativi di depistaggio. Manovre utili a coprire la Cupola politico-imprenditoriale che aveva fatto di questo personaggio un docile, e non esoso, strumento al proprio servizio. Ora di questa vicenda restano detriti maleodoranti e inquietanti tentativi di copertura.