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 2015  dicembre 16 Mercoledì calendario

In Germania gli storici preparano la pubblicazione di un’edizione critica del Mein Kampf. Siamo pronti a leggerlo?

Si può vietare la pubblicazione di un libro per tutelare valori e consuetudini? E chi ha il potere di deciderlo e di controllarne la diffusione? Possiamo ancora porre vincoli e barriere nel tempo della rete quando tutto è rintracciabile, alla portata di un motore di ricerca? Interrogativi che sembrerebbero futili se il libro in questione non fosse il concentrato del pensiero e della piattaforma politica di Adolf Hitler. Il Mein Kampf (a cui è dedicato il nuovo numero di Origami da domani in edicola, mentre in Germania gli storici preparano la prima edizione critica) è un oggetto che incute timore, il suo impatto va ben al di là di pagine sconclusionate ricche di propaganda nazista disarticolata e confusa. Sappiamo che ha avuto un peso nella costruzione di una terribile realtà politica, ha contribuito a rafforzarne lo spessore e la capacità attrattiva, ha avuto una storia e un itinerario editoriale simile alla traiettoria del regime di cui ambiva a cantare le lodi e narrare le gesta.
Hitler lo scrive mentre è in prigione a Lansberg, recluso in quella che con sprezzo definirà «un’università a spese dello Stato». Sembra che altri detenuti gli suggerirono di iniziare a scrivere le sue memorie per tentare di contenere i suoi monologhi logorroici, porre un freno a quel fiume incessante e insensato di parole. Vane illusioni. Hitler leggeva o meglio recitava ad alta voce i brani che riusciva a mettere sulla carta. Il titolo provvisorio suona come un manifesto d’intenti: «Quattro anni e mezzo di lotta contro menzogne, stupidità e codardia», poi la scelta definitiva mentre detta pensieri sparsi al suo autista Emil Maurice.
Errori e ripetizioni
Il primo volume – esce nel luglio 1925 – tiene l’impronta autobiografica in uno strano connubio tra sfondoni e riferimenti di vario genere conclusi dal ridondante richiamo al programma del partito. La seconda parte viene concepita dopo la scarcerazione – pubblicata nel ’26 – ed è incentrata sui caratteri della proposta politica emergente: ideologia di riferimento, propaganda come necessità strategica, richiami alla centralità della politica estera o meglio della proiezione internazionale del suo disegno aggressivo.
I biografi di Hitler da tempo hanno ricostruito che in molti misero le mani sul manoscritto per renderlo leggibile e presentabile, depurandolo tra l’altro da errori grammaticali e ripetizioni ricorrenti. L’autore stesso non mancò di ridimensionarne la natura fino a condurla a un insieme di articoli o contributi sporadici. E tuttavia quelle pagine contribuirono a incendiare l’Europa negli anni tra le due guerre.
Bestseller per forza
L’esordio fu tutt’altro che un successo. La casa editrice del partito (Franz Eher-Verlag) lo mise in circolazione con un prezzo impegnativo, 12 marchi. Nel 1929 il primo volume aveva venduto 23 mila copie, mentre il secondo aveva raggiunto le 13 mila. Un punto di partenza che s’intreccia con il percorso dei successi del partito, con l’ampliamento dei consensi e dei potenziali sostenitori. Tra il 1930 e il 1932 le copie diventano 80 mila. Con la presa del potere, l’anno successivo viene superato il milione e mezzo di copie. Una marcia inarrestabile: dal 1936 viene predisposta la versione braille per i non vedenti e ogni coppia di sposi riceve in dono un volume in versione rilegata. Nel tornante conclusivo della Seconda guerra mondiale le tirature e le vendite avevano superato i 10 milioni, senza contare la diffusione all’estero grazie alle 16 lingue in cui venne tradotto. Un potente strumento di diffusione e soprattutto di identificazione collettiva nel pensiero (per quanto caotico e delirante) di un uomo solo che al comando avrebbe risollevato le sorti della Germania tracciando un nuovo cammino per il genere umano.
Il nucleo delle idee portanti è noto: la razza come chiave di lettura delle stratificazioni sociali, lo spazio vitale orizzonte e frontiera di ogni conquista necessaria, la violenza del più forte esercizio di identità rinnovate, la dittatura come approdo di un progetto di trasformazione. Il significato del libro nel dibattito tra gli studiosi ha oscillato tra due estremi: una piattaforma ideologica che contiene le premesse dell’ascesa successiva o al contrario uno scritto marginale che non merita particolari attenzioni.
Le ragioni della storia
Ecco le origini delle paure, i timori che la pubblicazione di un testo del genere possa offrire spunti a chi è in cerca di legittimazioni o pericolose scorciatoie. Ma attenzione, il tema non è certo quello di riaprire dopo decenni un confronto di merito sul nazismo, né può essere confuso con le prerogative della libertà di espressione, del pluralismo delle idee. Un’edizione critica di duemila pagine, con 3.700 note, dopo tre anni di lavoro nel quadro di un prestigioso istituto storico (quello di Monaco di Baviera) si basa sulla scelta di contestualizzare storicamente: distruggere il mito e le sue tracce rafforzando le ragioni della storia quindi la sfida e gli strumenti per una consapevole comprensione del passato. Non è poco.