La Stampa, 16 dicembre 2015
Italia e Germania si scontrano sul gasdotto North Stream
A fine novembre dieci governi dell’Unione europea – i baltici, i centrorientali e la Grecia – hanno scritto a Bruxelles per chiedere l’immediato blocco dei lavori del nuovo gasdotto North Stream. La Commissione Ue non può farlo, anche se magari vorrebbe: il progetto di ampliamento del lungo tubo che già collega la Russia direttamente con la Germania attraverso il Mar Baltico è un’impresa privata che non si può vietare. Fonti dell’esecutivo giurano però che «non avrà accesso a finanziamenti comunitari» e che la sua compatibilità con mercato Ue sarà vagliata con cura. Lì si fermano. È un segnale di difficoltà davanti a quello che, in molti, temono essere progetto pericoloso per gli assetti geopolitici del continente.
Certo è una sorgente di veleni. Da Tallinn in giù ci si preoccupa per il semplice motivo che, qualora Mosca decidesse di punire l’Ucraina che dipende dal suo gas per la vita, potrebbe tagliarle le forniture senza danneggiare alcun Paese europeo: in caso di conflitto energetico, il metano potrebbe essere rimesso in circolo dai tedeschi e a pagare sarebbe Kiev in solitaria disgrazia. Le repubbliche baltiche, pure legate a Gazprom, subodorano la minaccia di vedersi strozzate da bollette rese esose da capricci politici. Gli slovacchi parlano di «tradimento». Dati i precedenti, dire che esagerano richiede determinazione. Questa settimana è entrata nella partita l’Italia. Da lunedì nei palazzi europei circola la voce secondo cui la decisione di non approvare senza dibattito il rinnovo semestrale delle sanzioni alla Russia per la guerra civile in Ucraina si spiega col risentimento di Matteo Renzi proprio su North Stream. La vulgata comunitaria, ripresa dal Financial Times, è che il premier sarebbe infastidito dal doppio gioco di Frau Merkel, «irritato dall’insistenza della Germania nel voler procedere con il gasdotto» e per «il rifiuto tedesco di far esaminare il progetto da Bruxelles». Basta chiedere in giro e si capisce dove l’hanno presa. Ai piani alti dell’Ue.
Nelle stesse sale trova conferma anche l’insistenza della Germania per North Stream. Si tratta di un piano per la costruzione di due rami aggiuntivi del gasdotto esistente, il terzo e il quarto, uno sforzo congiunto con E.ON, Shell e Omv. Costo stimato: 9,9 miliardi per 1224 km di tubi. Le prime due sezioni sono operative dal 2011/12 e consentono l’erogazione annuale di 55 miliardi di metri cubi. «È un progetto di società private senza sostegno di capitale pubblico – precisa una fonte governativa tedesca -: non può essere oggetto di veto europeo». La voce ostenta disinteresse, senza essere credibile. Se non altro perché l’infrastruttura garantirebbe gas a basso prezzo e a lungo, oltre che un dialogo privilegiato con lo Zar Vladimir.
La questione potrebbe spuntare fra domani e venerdì al vertice europeo di Bruxelles dove si parlerà anche del cantiere dell’Unione energetica messo a dura prova da North Stream. Il sottosegretario agli affari europei, Sandro Gozi, concede che «bisognerà valutarne la conformità al terzo pacchetto Energia e alla legislazione vigente». Seguono le domande da mille barili di petrolio. L’Italia non ama North Stream? Possibile. Perché, viste relazioni russe che a Roma si auspicherebbero migliori? «Risentite del fatto che il gasdotto baltico avanza e il South Stream, che doveva collegare la Russia ai Balcani e alla Penisola, è stato archiviato anche per divergenze strategiche e politiche fra il Cremlino e Bruxelles», riconosce una fonte. Così, ora, «Renzi può infastidire Berlino e rigiocare la carta del progetto immaginato Eni, Gazprom, Edf e Wintershall». Vero o falso? In Italia la risposta è quella standard. «Nessun problema con Berlino, North Stream e l’Europa». Vedremo alla prova dei fatti.