La Stampa, 16 dicembre 2015
L’Europa vieta ai minori di 16 anni l’accesso ai social network. Ma poi ogni Paese può fare come vuole
Compromesso all’europea sull’età del consenso informatico, che si alza, ma forse non per tutti. I governi dell’Unione, insieme con l’Europarlamento, hanno stabilito di portare da 13 a 16 anni il limite per il libero accesso al mondo di Mark Zuckerberg, ad altri social network assai diffusi – come Snapchat, Instagram – e persino a Gmail. Tuttavia, hanno deciso di attribuire la facoltà alle capitali di conservare la soglia attualmente in vigore se lo riterranno opportuno. È la consueta quadratura del cerchio a dodici stelle che punta ad accontentare tutti. Anche se non chiude la polemica fra chi pensa che l’Europa ha abbia fatto male a sollevare il problema e chi ritiene che sia stato il minimo. Succede, quando decide l’Ue. Succede, quando si firma un accordo a ventotto facce.
Negli Stati Uniti ha trionfato il pragmatismo. Sono una grande federazione, però c’è un governo che delibera da solo sulle questioni importanti. A Washington hanno ritenuto che ci si può iscrivere a Facebook una volta compiuti i tredici anni e l’Ue, sinora, si era allineata allo Zio Sam. Poi i governi hanno cominciato a ragionare sulla proposta destinata ad adeguare la qualità della protezione dei dati personali alle più recenti evoluzioni tecnologiche. E lì si è aperto lo scontro. Sebbene la Commissione, che è il braccio esecutivo dell’Unione, avesse reiterato il numero 13, sono ad esempio saltati fuori i polacchi, fermi nel dire che sotto i diciott’anni non si devono prendere impegni sul web; e gli ungheresi, fissati sui sedici anni come frontiera online senza autorizzazione dei genitori. Il solito duello multiplo.
Ne è conseguito che, in Consiglio, i governi hanno avuto il loro daffare nel maneggiare la pratica, tanto che in estate si era deciso di lavarsene le mani e demandare alle singole capitali l’onere dell’ultima parola. L’Europarlamento non ha fatto altrettanto. Ha aggiunto un emendamento che ha riaperto il match, scrivendo nuovamente il limite dei 16 anni, salvo il consenso dei genitori o di chi ne fa le veci. Versione messa in piedi dal verde Jan Albrecht su cui è arrivato l’accordo ieri sera.
È un dibattito che ha senso? Le voci che rispondono «no» sono numerose e variegate. Comincia il fronte degli scettici, quelli che sventolano le statistiche e assicurano il 70 per cento di chi ha fra il 9 e 12 anni ha già un profilo Facebook in barba alle regole vigenti. Si trovano poi organizzazioni non governative impegnate nella tutela dei minori per le quali, elevando l’età del consenso informativo a sedici, si creano le premesse per indirizzare i più giovani verso siti meno sicuri che sfuggono ai controlli. Ovviamente, Facebook e le sue sorelle giurano che i tredicenni sono garantiti e invocano la liberalizzazione. Mentre la lobby dei giochi vuole la soglia americana per non vanificare la sua pioggia di pubblicità online. Chi sostiene «quota 16» lo fa per ragioni di tutela, anche legale. In Polonia, come in Italia, la maggiore età contrattuale è quella dei diciott’anni e dicono che i piccoli non sono protetti per le intese web. Roma che, non considera la questione come una ragione per immolarsi: era disposta ad accettare i 13 anni, non ha nulla contro i sedici. In realtà tutto dipende dal meccanismo di verifica che nel testo in discussione è vago. Si demanda la responsabilità alle società che gestiscono i social network che dovranno assicurarsi – magari con una casellina in più – che il sedicenne sia davvero sedicenne o che crei il profilo col beneplacito della famiglia. Ci vorrà tempo. Il compromesso politico verrà formalizzato a giorni, pubblicato in gennaio nella Gazzetta Ufficiale e gli Stati avranno due anni per recepirlo. Se ne parla nel 2018. Quando il problema, legalmente, potrebbe porsi per chi oggi ha 13 anni. A meno che il suo governo non scelga di «fare l’americano».