la Repubblica, 16 dicembre 2015
Oggi esce l’ultimo Star Wars, la saga che dal 1977 unisce milioni di fedeli disposti a credere alla grande illusione americana: quella di stare dalla parte buona della Forza
In una galassia lontana lontana, dove i bambini non devono mai restare bloccati in casa per allarmi terroristici come ieri mattina a Los Angeles e il bene inesorabilmente trionfa, si risveglia la immaginaria Forza Buona che protegge chi vi si affida dalla realtà cattiva. È atterrato sul nostro pianeta il settimo capitolo della saga di Star Wars, lunedì notte al Chinese Theatre sull’Hollywood Boulevard, che ora si prepara a invadere benevolmente il mondo con i personaggi nuovi e invecchiati, con i sogni di una generazione che li ha passati ai propri figli, ancora intatti nella loro capacità di farci fuggire per un paio d’ore dal male quotidiano.
L’irruzione della realtà nell’impero dell’immaginazione mistica creato da George Lucas quasi quarant’anni or sono, non scalfirà la fede dei credenti che hanno già speso più di 200 milioni di dollari nella prevendita dei biglietti nelle 4 mila e cento sale che, soltanto negli Usa, lo proietteranno da venerdì prossimo, mentre in Italia sarà in 850 sale da oggi. Come il baseball, come il barbecue nei pomeriggi d’estate, come l’hot dog afferrato dai banchetti lungo le strade di Manhattan, Star Wars è uno dei pochi fili di tradizione che legano i padri e ai figli, che segnano, con l’avvicendarsi degli episodi, il passaggio del tempo. «Avevo 10 anni quando mio padre mi portò a vedere Star Wars» ricorda infatti J.J. Abram s, il regista di questa settima edizione.
Se della storia non possiamo ancora rivelare nulla, perché gli “stormtrooper” della Disney, oggi proprietaria della “franchise” di Star Wars comperata da Lucas per quattro miliardi di dollari nel 2012 minacciano l’annientamento di chi violi l’embargo e hanno irritato i giornali- sti di Le Monde, al punto da convincerli a rinunciare all’invito per protesta, è ormai noto che Il risveglio della Forza
vuole essere esattamente questo: un ponte di nostalgia e di allusioni che leghi le generazioni cresciute nel culto degli Jedi ai figli e alle figlie. Si assiste al ritorno di protagonisti cari ai meno giovani, dal corsaro buono dell’Universo, Ian Solo, alla principessa Leila, nel frattempo promossa al grado di generale, insieme con l’avvento di nuove figure fondamentali, come lo Stormtrooper pentito, un attore inglese di origine nigeriana, e della ribelle Daisy Ridley nella parte di Rey, che segnalano l’omaggio al protagonismo femminile, e alla correttezza multietnica, nell’evoluzione della serie.
Lo sforzo costante, in questa ultima incarnazione dell’interminabile Armageddon galattica fra gli anticristi dell’Impero e i crociati della rivolta, è stato quello di restituire a Star Wars il sapore originale, il gusto della polvere, la magia della sala trucco, come era stato quasi mezzo secolo fa e di strapparlo alla freddezza della “Computer Animation” e degli effetti speciali sintetici. La musica è sempre del grande John Williams. I robot sono sempre i due che conoscemmo nel 1977, anche se a loro si è aggiunto BB8, una sorta di palla rotolante, tenero come un cucciolo tecno. Le astronavi, i veicoli galleggianti sopra la gravità sono in gran parte modellini costruiti e ripresi con le vecchie tecniche degli effetti speciali, vecchi come Max Von Sydow, come l’ormai più che maturo Luke Skywalker, come il fragile Harrison Ford, Ian Solo, che durante le riprese si ruppe una gamba e costrinse il regista a riprenderlo per settimane soltanto dalla vita in su, per non mostrare un poco avveniristico gambone ingessato.
Sul tappeto rosso che lunedì sera ha visto sfilare i vecchi e i nuovi sacerdoti del culto di Star Wars, in una Hollywood che era stata fortificata per un raggio di quattro isolati attorno al Chinese Theatre è passato quindi il messaggio che il pubblico vuole da questa saga, quello di una rassicurante continuità. Il vecchio Impero del Male, con Dart Fener, non c’è più, ma i suoi gerarchi, sfuggiti alla disfatta, hanno ricostruito un “Primo Ordine” maligno, «come se i nazisti fuggiti in Argentina alla fine della guerra fossero riusciti a rifare il Nazismo», spiega sempre il regista.
È passato il Mosè di questo culto intergalattico, George Lu- cas, ormai canuto e modesto, nel suo abbigliamento ordinario e ben lontano dalle sfarzose “mise” delle stelle. «Non ho voluto davvero partecipare alle produzione, dopo avere creato l’idea, perché qualunque cosa avessi detto, me l’avrebbero respinta, e qualunque cose la produzione avesse detto a me, l’avrei bocciata». Il suo bambino, la creatura che ha portato agli occhi del mondo, non è più sua, e quel suo titolo di “Responsabile Creativo” generosamente assegnato dalla vera boss, Kathy Kennedy la produttrice e la presidente della Lucas film, sa tanto di onorificenza concessa al nonno per tenerlo buono.
Ma “la Forza è forte” comunque in questo film, come ha gridato dal suo posto in seconda fila l’attrice Geena Davis, travolta dall’entusiasmo. La presenza di Steven Spielberg, che ha abbracciato Lucas pubblicamente e che ha dato la propria benedizione al nuovo film – «Abrams, il regista, ha capito cos’è Star Wars» – ha portato la sanzione dei santi di Hollywood. «Epico, grandioso, travolgente» sono le parole più ripetute nei tweet lanciati all’uscita, perché tutti gli smartphone erano stati sequestrati all’ingresso. «Wow! Soltanto wow!» ha scritto l’attrice Elizabeth Banks.
Nei “sequel”, come nei “prequel” che hanno formato la religione universale di Guerre Stellari, il sacro graal è sempre la continuità, il mantenimento della familiarità di immagini, colori, citazioni, suoni nei quali generazioni di spettatori possano ritrovarsi e sentirsi rassicurati. E questo (senza osare la violazione del tabernacolo dell’embargo commerciale) pare che la settima edizione mantenga, anche con il suo ormai anziano Skywalker. Il traguardo minimo del miliardo di dollari di incassi richiesto dalla Disney che, fra costi di produzione e promozione ha speso 540 milioni per tornare in guerra contro gli eredi di Dart Fener, dovrebbe essere facilmente superato. Le file che da giorni, in alcuni casi una settimana, stanno bivaccando attorno alle sale non potranno essere deluse e non lo saranno, perché tutti i punti del catechismo stellare creato da Lucas sono rispettati, anche il finale che, dicono, pare, non sappiamo, non riveliamo, sia sensazionale e inatteso.
Ma oltre i contributi iniziali di Lucas, l’abilità del regista che, dice sempre Spielberg, «era terrorizzato al pensiero di sbagliare il film», la bellezza degli effetti speciali tornati alle perfezione artigianale di ieri, è la permanenza della Grande Illusione americana, la fede nell’essere dalla parte buona della Forza nonostante le tante delusioni, che garantiscono un successo che dipende dai fedeli decisi a credere ancora. Dai milioni che vogliono ancora volare via, lontano da quella terra acre nella quale 640 mila bambini di Los Angeles sono prigionieri della paura e centinaia di spettatori possono essere maciullati in un teatro.