Corriere della Sera, 16 dicembre 2015
Le purghe sovietiche e il silenzio del Pci
Le grandi purghe del dopoguerra, volute da Stalin, iniziarono nel 1949 in Ungheria con la condanna a morte del ministro degli Esteri Laszlo Rajk insieme ad altre persone. Mentre in Bulgaria, lo stesso anno, il nemico venne individuato in Traico Kostov, già segretario del partito e presidente del Consiglio. Il processo che colpì maggiormente l’opinione pubblica e gli apparati del Komintern fu quello di Rudolf Slanskij, leader della Repubblica Cecoslovacca e vassallo tra i più fedeli dell’Urss. Arrestato nel 1951, fu giustiziato alla fine del 1953. Nel 1948 era stato autore del colpo di Stato e assertore delle purghe staliniane, fu responsabile di numerose condanne a morte e della carcerazione di 25.000 persone. L’unico graziato fu il leader del Partito operaio polacco, Wladislav Gomulka. Il partito ritardò il processo fino alla morte di Stalin e, cambiato il clima politico, venne liberato e riabilitato. Come mai il Pci rimase in silenzio davanti ai processi e alle purghe nei Paesi satelliti dell’Unione Sovietica?
Paolo Tempo
paolo.tempo@gmail.com
Caro Tempo,
Sulle ultime purghe staliniane esistono molti studi, ma sul trattamento riservato a Rudolf Slanskij, in particolare, esiste anche una testimonianza personale: le memorie della vedova, Josefa, pubblicate in Cecoslovacchia durante la «primavera di Praga», giunte in Italia nella valigia di un esule dopo l’invasione sovietica, pubblicate a Milano negli anni Settanta dalle edizioni Pan e più recentemente, a cura di Curzia Ferrari, dalle Edizioni Ares. Se non sapessimo di quale pasta Slanskij fosse fatto e di quanti orrori fosse responsabile, il libro susciterebbe indignazione e compassione.
Come lei ricorda, caro Tempo, i processi di Praga sono soltanto un episodio delle grandi purghe con cui Stalin, fra il 1949 e il 1952, decapitò i partiti «fratelli» di quasi tutte le democrazie popolari. Le cause furono almeno tre. In primo luogo il leader dell’Urss reagì con preoccupazione e dispetto al modo in cui Tito si stava visibilmente sbarazzando del guinzaglio sovietico. Temette che il suo esempio contagiasse la dirigenza del partito negli altri Paesi satelliti e agì di anticipo mettendo in scena ancora una volta il copione degli anni Trenta. Il secondo motivo fu il sospetto che gli ebrei sovietici, dopo la creazione d’Israele, avessero una nuova patria e diventassero, come cittadini sovietici, poco affidabili e soprattutto soggetti, in particolare, all’influenza degli Stati Uniti. L’ungherese Rajk era ebreo ed erano ebrei molti dei dirigenti che furono arrestati e processati nei tribunali dei Paesi satelliti. Fra i quattordici deputati del processo Slanskij, in particolare, undici, fra cui il protagonista, erano ebrei. Da quel momento, nella propaganda sovietica, la parola «sionismo» si caricò di una valenza negativa e fu spesso utilizzata per denunciare la minaccia di un complotto internazionale contro l’Urss. La terza causa delle purghe appartiene alla psicologia più che alla politica. Stalin era patologicamente sospettoso e diffidente.
Alla sua domanda sulla linea adottata dalla dirigenza del partito comunista italiano, rispondo che le cause del suo imbarazzato silenzio furono probabilmente due. Per molti il nome di Stalin, anzitutto, evocava la gloriosa vittoria contro la Germania nazista e rappresentava un capitale di consensi che sarebbe stato pericoloso dissipare. Per molti altri, probabilmente, prevalse il timore di incorrere nella collera del leader sovietico.