Corriere della Sera, 16 dicembre 2015
Tra dieci anni la maggior parte delle auto sarà guidata da robot
Il nesso tra lo sviluppo dell’A.I. e quello dei trasporti futuri proietta nell’immaginario due scenari di base. Uno, più a breve termine, con strade fitte di cyber-veicoli e cieli affollati di droni e eli-robot capaci di volare a stormi sincronizzati (e in mezzo, le auto-volanti già annunciate nei prossimi anni): il tutto simile a un brulichio visivo tra I Robot Alex Proyas (da Asimov) e Minority Report di Spielberg (da Philip Dick). L’altro – più a lunga scadenza – ci riconnette fatalmente all’astronave di 2001 di Kubrick e all’A.I. di bordo Hal 9000: prefigurazione di tempi (remoti?) in cui dovremmo cercare la sopravvivenza della specie su altri pianeti o addirittura in altre galassie, a meno di non finire come in Paradisi perduti di Ursula Le Guin, dove la quinta generazione di viaggiatori partiti per mete extrasolari decide di fermarsi per sempre sull’immane astronave che li trasporta (a energia illimitata).
Circoscrivendo la verifica agli scenari imminenti (e lasciando gli altri in un fondale passibile di ulteriori re-visioni), non c’è dubbio che la ricerca-chiave riguardi i veicoli senza conducente: treni e metro (come quelli della linea Lilla a Milano) ma soprattutto auto: settore in cui – ricorda il fisico della Columbia Michio Kaku – stiamo andando in incoraggiante progressione. Nel 2004 la Darpa (organizzazione del Pentagono) metteva in palio 1 milione di dollari per chi presentasse un cyber-veicolo in grado di percorrere 250 chilometri attraverso il deserto del Mojave, in California: nonostante le attenuanti (decine di curve strettissime, tre gallerie, vari strapiombi a lato della strada), il premio non veniva assegnato, con tutti gli artefatti in gara dispersi o danneggiati, versione cyber della Grande corsa di Blake Edwards. Nel 2007, invece, la Darpa spostava il concorso (alzando così l’asticella tecno-cognitiva) in un tracciato urbano non lontano da quello desertico di tre anni prima (un centinaio di chilometri da percorrersi in sei ore): e stavolta, ben sei équipe portavano le loro robocar all’arrivo, facendole passare indenni tra segnaletica e incroci. Coronamento e sintesi di questi progressi, al momento, è la MCity alla periferia di Detroit, inaugurata il 20 luglio di quest’anno: 13 ettari per veicoli sia «misti» (uomo-robot) che totalmente «autonomi» di tutte le majors principali, da Google Car a Mercedes, da Ford a Toyota, inseriti in percorsi con tanto di pedoni-automi.
Può sembrare uno scenario prematuro, insieme utopistico e alienante. Eppure, alcune proiezioni lo confermano plausibile: fra solo 10 anni, le robocar potrebbero esprimere un fatturato annuo di 42 miliardi di dollari, mentre tra 20, le auto a guida solo manuale, potrebbero coprire appena un quarto del mercato. Lo snodo decisivo, va da sé, sarà proprio l’A.I. di bordo. Già adesso, infatti, le robocar – come quella sportiva testata da Kaku, attonito nel vedere volante e pedali mossi da «un fantasma» – riescono a «orientarsi» con radar sui parafanghi e sfruttando, col Gps, un incrocio di informazioni satellitari che ne individuano la posizione con pochi centimetri di errore, guidandole tra gli ostacoli con notevole sicurezza. E a breve, nelle auto «miste», specifici marker biometrici permetteranno ai computer di riconoscere assopimento e/o tasso alcolico elevato del conducente umano, svegliandolo con un suono specifico o assumendo la guida al suo posto. Lo snodo da risolvere sarà soprattutto la compressione della cyber-tecnologia: la stessa auto sportiva di Kaku era congestionata su sedili e cruscotto da congegni contenenti l’hardware di 8 Pc.
Si tratta, in ogni caso, di acquisizioni che avranno un enorme impatto sociale, riducendo sia gli incidenti stradali (40.000 morti l’anno solo in Usa) sia gli ingorghi (coi computer di ogni auto «coordinati» da un super-computer a monitoraggio del traffico e degli itinerari). E se è indubbio che quell’impatto avrà anche un versante oscuro da non sottovalutare, come in ogni processo di automazione – mestieri soppressi e relativi tassi di disoccupazione, a partire dai conducenti di mezzi pubblici – non serviranno atteggiamenti neo-luddisti: vedere nell’intelligenza artificiale (e in tutto il «non-biologico», ogm in primis) solo un Frankenstein degenere, suona come una smentita di quella «naturale».