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 2015  dicembre 16 Mercoledì calendario

Ecco cos’era la P2

La madre di tutti gli scandali italiani, il crocevia dei misteri che segnano i lutti della Repubblica ha una data di inizio e un elenco di nomi: mille quelli noti, duemila e più gli effettivi. È il 17 marzo del 1981 quando i giudici Gherardo Colombo e Giuliano Turone che indagano sul crac dell’Ambrosiano e il finto sequestro del banchiere Michele Sindona arrivano a Villa Wanda la residenza di questo commerciante toscano di materassi, franchista e peronista, filoamericano e con molti amici tra i fascisti, che è riuscito a creare una propria loggia massonica sotto il cappello politico di Giulio Andreotti.
Il Gran Maestro capace di affiliare i capi di Sismi, Sisde e Cesis ha iniziato nei primi anni Sessanta la sua formidabile ascesa che giunge al culmine quando il Paese incrocia la stagione delle bombe e dei golpe che punteggiano la nostra storia recente. Dal golpe di Junio Valerio Borghese in poi, non c’è un episodio della torbida edificazione della nostra fragile democrazia in cui il suo nome non faccia capolino. Per trescare, intorbidire, confondere e depistare. Gelli ha nella schiera dei suoi fedelissimi generali del calibro di Vito Miceli e Giuseppe Santovito. Ma negli elenchi di quella loggia ci sono ufficiali di tutte le armi, politici in ascesa, finanzieri d’assalto, manager di Stato e imprenditori rampanti come Silvio Berlusconi. Dai suoi conti parte un fiume di denaro che arriva al vertice del potere craxiano.
La sua è una cricca che ha tenuto in scacco il Paese reale. Un gotha capace di piegare l’intelligence ai propri scopi, di partecipare alla stagione del terrorismo ideologico, rispondendo solo all’imperativo di scongiurare che il Paese sbandasse a sinistra. Uno dei suoi uomini più rappresentativi, Umberto Ortolani, scomparso nel 2002 era il grimaldello che portava dritto alle finanze vaticane, allo Ior, piegato alla bisogna al ruolo di banca della loggia. Perchè la P2 è molto più di una loggia, è una cattedrale dell’impunità costruita su segreti e archivi. E delitti: tanti. Come quello di Roberto Calvi. Della strage alla stazione di Bologna Gelli stesso disse che si trattò di «una tragica fatalità frutto di un incidente».
Il nome di Gelli tornò ancora nelle carte giudiziarie quando i giudici di Palermo iniziarono a inquadrare il contesto politico in cui erano maturate le stragi del 1992. Il gran burattinaio stava dietro il sogno di una nuova secessione siciliana in asse con la Lega al Nord. Il suo piano di rinascita democratica era ancora il canovaccio di quel progetto: asservimento del pm al governo, controllo dei mezzi di informazione, Corriere della Sera in testa, una repubblica presidenziale di marca sudamericana.
La gran parte dei segreti, Gelli li porta nella tomba. Quelli in circolo sono ancora un formidabile salvacondotto per molti.