la Repubblica, 16 dicembre 2015
Tags : Salvataggio delle quattro banche
Cinque domande e cinque risposte per capire il perché del Salva banche
1. Perché le quattro banche sono state salvate con un decreto lampo del governo? non si poteva fare in un altro modo?
Il decreto legge 183 del 22 novembre risolve quattro crisi bancarie che si trascinavano da anni e non erano in grado di risanarsi da sole. Dapprima si pensava di salvare Banca Marche, Banca Etruria, Cariferrara, Carichieti con il Fondo interbancario di tutela depositi. Ma la Commissione europea s’è opposta, vedendo nella natura obbligatoria del fondo una distorsione alla concorrenza e chiedendo di usare il fondo solo per rimborsare i depositanti fino a 100mila euro nei futuri fallimenti. Per altro, se quelle crisi non fossero state “risolte” entro dicembre, dal 1° gennaio la nuova normativa sul bail in avrebbe portato a conseguenze peggiori con la loro probabile liquidazione. In ambienti bancari si dice che sarebbe stata «una bomba atomica» per il sistema. Qualche dato spiega perché: la procedura coatta avrebbe portato a liquidare le attività, chiedendo l’immediato rientro dei crediti a 200mila piccole e medie imprese con affidamenti a revoca. Poi le quattro banche avrebbero tentato di vendere i crediti, con pesanti svalutazioni e un ricavato che per alcune stime non avrebbe nemmeno coperto il valore dei depositi. Invece da tre settimane le banche risanate operano in continuità aziendale, erogando crediti nuovi o rinnovati per 300 milioni a 1.500 pmi e autonomi.
2. Perché si sono sacrificati i bond subordinati, azzerandone per 788 milioni di euro? non si poteva evitare questo taglio?
Nessuno lo dirà ufficialmente, ma nei palazzi delle istituzioni e delle banche italiane molti dicono che il livello delle perdite da infliggere agli stakeholder nel quadruplice salvataggio sia stato negoziato con la Commissione europea, che nell’agosto 2013 introdusse il principio del “burden sharing” nei casi di salvataggio bancario. A pagare i costi delle crisi, è la linea guida inserita nel diritto comunitario, devono essere in primis gli azionisti e i creditori – e se non basta, per una parte ridotta anche i depositanti oltre i 100mila euro – degli istituti in dissesto. Il capitale azionario delle quattro banche, già eroso da anni, è stato del tutto azzerato. Lo stesso è avvenuto con i 788 milioni di bond subordinati emessi dai quattro istituti (e che probabilmente senza questo blitz avrebbero recuperato una frazione del loro valore). Per il resto, il salvataggio è stato operato dalle altre banche attive in Italia, che hanno dato risorse per 3,6 miliardi al Fondo di risoluzione. Sono stati però esclusi dal costo gli obbligazionisti ordinari e i depositanti: un parco di un milione di risparmiatori, con fondi per 12 miliardi di euro.
3. Perché il governo ha operato un successivo intervento per indennizzare alcuni titolari dei bond subordinati?
A qualche giorno dal decreto che ha azzerato il valore dei titoli subordinati, il governo ha iniziato a parlare di «misure umanitarie», che hanno preso la forma di un intervento di indennizzo da parte di un collegio arbitrale scelto dal Tesoro. L’esecutivo non ha voluto usare la Consob o le procedure arbitrali già esistenti nell’ordinamento. E ha stanziato, in un emendamento al decreto, un Fondo di solidarietà da 100 milioni – sempre a carico del sistema bancario – per indennizzare quei casi di obbligazionisti mal consigliati allo sportello, perché inadatti a uno strumento rischioso. Dovrebbero bastare, perché i titolari di quei bond sono solo l’1% della clientela, e i dossier critici sono 1.010, pari a 27 milioni di euro. Poi ci sono 1.484 risparmiatori con subordinati oltre il 30% del loro patrimonio, che ammontano a 93 milioni e potrebbero avere rimborsi inferiori. Resta intatto il diritto costituzionale al risarcimento del danno, in tribunale. Il governo tuttavia sembra preferire la formula “pochi e subito”, anche perché le cause trascinerebbero l’episodio spiacevole per anni, e la richiesta danni finale potrebbe essere fino al triplo, per fonti legali.
4. Le norme contengono forme di manleva per gli ex amministratori delle banche? Il governo ha legiferato in conflitto di interessi sul caso Etruria?
Nel decreto salva-banche non sono previste forme di manleva o scarichi di responsabilità nei confronti dei vecchi amministratori delle quattro banche, che ora hanno un nuovo management.
Tuttavia la nuova misura non prevede nemmeno automatiche sanzioni e restrizioni per i passati dirigenti o amministratori; e in questo sembra meno severa rispetto a quanto previsto dall’ordinamento italiano in caso di liquidazione coatta amministrativa. Se i quattro istituti, infatti, fossero stati liquidati, uno degli effetti automatici sarebbe stato il provvedimento di interdizione dagli uffici e la perdita dei requisiti di onorabilità ai sensi del Testo unico bancario, per cui i passati amministratori non sarebbero più stati eleggibili.
Così è stato ad esempio per il management di Banca Network, tre anni fa. Invece i salvataggi di novembre non prevedono niente di questo. Così i banchieri che hanno portato vicino al crac le quattro banche subiranno sanzioni solo nei casi in cui la magistratura interverrà per accertare responsabilità penali. Ad Arezzo, dove sono in corso tre inchieste, sono appena stati indagati l’ex presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi e l’ex amministratore Luciano Nataloni, per «omessa comunicazione di conflitto di interessi» su pratiche di fido. Al centro di un’accesa polemica politica c’è il fatto che l’ex vice presidente dello stesso istituto fosse Pier Luigi Boschi, padre del ministro Maria Elena Boschi.
5. A quali società andranno indirizzate le cause degli investitori? agli istituti risanati, alla bad bank o alle quattro “banche residuali”?
In attesa del provvedimento finale, che finirà nella Legge di stabilità, sembra farsi strada l’ipotesi che le pendenze attive e passive preesistenti al 22 novembre, la data della “risoluzione” delle quattro banche, resteranno a carico delle “good bank”, che hanno apposto l’insegna “Nuova” ai vecchi marchi. Si tratta delle banche in continuità aziendale, che gestiranno anche le eventuali cause contro i passati amministratori.
Diversamente, e come prevede la direttiva europea Brrd sul bail in, tutte le cause passive future – tra cui quelle degli investitori – saranno in capo alle quattro “banche residuali”, le società svuotate di gran parte degli attivi e passivi tranne alcuni cespiti e fondi di riserva.