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 2015  dicembre 12 Sabato calendario

La sera che la nazionale di calcio tedesca giocò finalmente unita

La storia si muove in maniera vertiginosa, nemmeno la velocità di un pallone riesce a seguirla nelle due Germanie che stanno diventando una, da un autunno all’altro, tra l’89 e il ’90. Il Muro è caduto il 9 novembre, il popolo si rimpinza di banane e si gonfia di Coca-Cola: è il presunto lusso che passa fluido attraverso una frontiera sparita. I politici però ancora non decidono quanto debba essere rapida la fusione dopo 40 anni di vite separate. I conti spaventano quanto le teste sparpagliate in ideologie differenti, in un’educazione economica statale o democratica, in un freddo gioco di spie e di rancori. Il calcio sceglie di non accelerare. Il 2 febbraio ’90, quando in Svezia si tiene il sorteggio delle qualificazioni all’Europeo ’92, si presentano due federazioni, Ovest e Est. Il pensiero dei burocrati del pallone è lento: se avverrà una riunificazione, sarà dopo la fase finale del torneo. Franz Beckenbauer, Teamchef della Germania Ovest, commenta l’estrazione in tv e quando Gunnar Nordahl ha in mano la striscia con scritto Ddr, sospira: «Non contro di noi». L’ex centravanti del Milan pesca poi il gruppo 5. «Non è proprio l’avversario desiderato», dice Eduard Geyer, c.t. della Repubblica Democratica. Per la prima volta dal Mondiale ’74, quando il Beckenbauer calciatore venne umiliato dagli orientali ma poi abbracciò la coppa, i “gemelli separati” si rincontrano. Vengono fissate le date, scelti gli stadi più capienti, il Zentral di Lipsia, centomila sedie, e l’Olimpico di Monaco, quasi ottantamila. Vengono anche venduti i diritti tv alle emittenti di Stato: già il fatto che ci sia trattativa anticipa i tempi. Soltanto una sarà promossa e ciò aumenta le insicurezze dei più forti. La Bild titola: «Noi contro noi. Che sciocchezza». Ma nemmeno il più sensibile fiuto giornalistico della nazione capisce che quelle sfide non si vedranno mai. Nell’autunno successivo la Germania diventa una: è il 3 ottobre. Al posto dell’andata del 21 novembre, a Lipsia, viene proposta un’amichevole tra fratelli, ma non è il caso, per le minacce di gruppi estremisti contrari alla parentela.
Beckenbauer è diventato campione del mondo anche da allenatore, a Roma, l’8 luglio. Si avventura in una previsione che gli verrà sempre rinfacciata: «Con l’arrivo degli orientali, la Germania diventerà imbattibile». Passeranno invece 24 anni per un’altra coppa del mondo, la prima per tutti, la sola in cui non serve l’aggettivo geografico per definire: né Ovest, né Est. È soltanto Germania. Nel luglio di 25 anni fa, con il trofeo sul tavolo, la federazione dell’Est sparisce e i giocatori confluiranno nella selezione di Berti Vogts, il successore del Kaiser. La Ddr ha la miglior squadra dal ’74 e sarebbe arrivata al suo secondo Mondiale se non fosse crollato il Muro: già, perché sei giorni dopo die Wende, la svolta come la chiamano loro, è in programma la sentenza per la promozione a Italia 90, contro l’Austria. Ma i manager dei club della Bundesliga risalgono la corrente, scansando la fiumana di nuovi tedeschi che invadono l’Ovest per restare inebetiti davanti alle vetrine di elettronica. I d.s. navigano verso oriente per scucire caparre di futuri ingaggi milionari ai giocatori. La Germania Est, nonostante un gruppo che 7 anni dopo aiuterà la nazionale unica a prendersi l’Europeo, le busca a Vienna, con decine di dirigenti in tribuna, in hotel, perfino negli spogliatoi: 3-0, in Italia arrivano gli austriaci.
Matthias Sammer, stella della Dinamo Dresda, guadagnava circa 60 euro al mese, tradotti con il cambio di adesso. Di colpo passa a 15 mila, perché lo Stoccarda riesce ad anticipare la concorrenza. La Bayer non sborsa di meno per portare a Leverkusen Ulf Kirsten e Andreas Thom. Costui è il primo a firmare, un mese dopo la svolta. Viene contattato proprio a Vienna, sul campo, da un finto fotografo che non è altro che un “agente” del potente Sportdirektor del Leverkusen, Reiner Calmund. I giocatori orientali passano dalla sorveglianza della Stasi a quella degli incantatori della Bundesliga: almeno stavolta la seccatura è ben pagata. A Thom vengono offerti circa gli attuali 20 mila euro al mese. L’attaccante della Dinamo Berlino, il club legato al capo della Stasi, Erich Mielke, fa parte dei campioni, degli oggetti del regime: non hanno tentato la fuga come tanti compagni, hanno auto e case come soltanto gli alti funzionari del partito, però nulla è paragonabile con la vita di una riserva del torneo occidentale. Emigrano tutti.
L’ULTIMA DOPPIETTA
Il 12 settembre a Bruxelles va in scena l’atto finale della Ddr, in amichevole con il Belgio: 24 giocatori rifiutano la convocazione, paura di infortuni e di venir discussi dai nuovi proprietari. Sammer si presenta, vede altri 13 ragazzi e terze scelte, sta per andarsene però non trova un volo per tornare a Stoccarda. Poi lo avvolge il senso del dovere impresso da 23 anni trascorsi sotto una dittatura: segna i due gol dell’ultima vittoria della Germania Democratica. Quello stesso giorno a Mosca viene firmato l’accordo “due più quattro”. Le quattro potenze vincitrici della guerra (Urss, Usa, Francia, Inghilterra) rinunciano ai diritti posseduti sulle due Germanie. Le quali, fra clausole e promesse scritte, possono diventare un solo Stato sovrano. La Ddr sparisce. Loro, i calciatori, no: dei 14 di Bruxelles, soltanto uno non ha in tasca un contratto per la Bundesliga. È il portiere di riserva Jens Adler. Geyer lo manda dentro nel recupero: è l’ultimo giocatore di una nazione dissolta, non tocca mai la palla. Poi lo vedono commosso, forse anche per le troppe birre di commiato.
In questo mese si celebra il 25° anniversario del debutto della nazionale unica: il 19 dicembre ’90, un test con la Svizzera a Stoccarda diventa la festa del pangermanesimo. Accanto ai campioni del mondo, corre Sammer; è l’unico titolare Ossi, da Ost che significa Est: un dispregiativo. Prima del via non canta l’inno della Repubblica Federale e anche qui si progetta il futuro. Pure adesso tanti nazionali non aprono bocca per non offendere genitori o nonni immigrati per lavoro e tranquillità. Sammer viene poi sostituito con Thom, che, come in Bundesliga, fa storia pure in nazionale perché segna subito il 3-0: gli altri tre gol sono di Voeller, Riedle e Matthäus, cioè Roma, Lazio, Inter. È l’apoteosi del libero mercato, mentre il rosso di Dresda pensa che soltanto 13 mesi prima era convinto di dover stare rinchiuso a vita nell’ergastolo del mondo socialista. Oggi è il d.s del Bayern, mentre Thom allena le giovanili dell’Hertha: ma nel dicembre del ’90 erano la curiosità della prima Germania post Muro. L’ultima, quella di Rio, non si chiede più se i giocatori sono Ossi o Wessi, da West, Ovest. Ma piuttosto se sono tedeschi di sangue o sviluppo eccellente dell’immigrazione. Soltanto uno, nella rosa in Brasile, è nato nell’ex Est: Toni Kroos, di Greifswald, ma nel gennaio ’90, quando il confine interno sta per essere smantellato. Mario Götze, decisivo nella finale con l’Argentina, non fa più parte della separazione, è invece l’emblema della Germania moderna: è venuto al mondo nel giugno ’92, il mese dell’Europeo svedese. Dopo il quale, secondo i dirigenti di allora, avrebbe dovuto nascere la nazionale unica: ma i cerchi della storia si sono chiusi più in fretta di un tiro in porta.