SportWeek, 12 dicembre 2015
Il ritorno della nebbia sui campi di calcio
Quel pomeriggio del dicembre ’58 la nebbia calò improvvisamente su Inter-Juve, come se un tubo di scappamento avesse sgasato dentro San Siro. Il secondo tempo era iniziato da poco, la Beneamata conduceva con gol di Angelillo e Firmani. L’arbitro Orlandini fermò il gioco. Boniperti, così furbo da farsi pagare dall’Avvocato in vacche gravide, afferrò il pallone e imbucò il tunnel degli spogliatoi. In quella confusione d’ombre tutti i giocatori lo seguirono.
In un altro dicembre, del ’72, il Milan s’incazzò come un puma. Segnò alla Lazio con Chiarugi al 78’ e quattro minuti dopo, a otto dal 90°, Gonnella fischiò la fine per mancanza di visibilità. Leggenda vuole che padre Antonio Lisandrini, studioso cappuccino che sceneggiò con Rossellini Francesco, giullare di Dio, vedendo in affanno la sua squadra, invocò, ascoltato, sorella nebbia.
Nel gennaio dell’83 gli irriducibili interisti del parterre, rimasti aggrappati alle sbarre dei distinti nonostante la partita fosse sparita nella nebbia, videro spuntare dal biancolatte il piccolo Juary che cominciò a danzare attorno alla bandierina. Giurava di aver segnato il quinto gol al Catanzaro, il primo e penultimo della sua grama vita in nerazzurro. «Il più bello della mia vita», assicurava. Nessuno poteva smentire. Accadevano cose così un tempo, quando i bollettini dell’Aeronautica ribadivano quotidianamente: “Nebbia in Val Padana” e i milanesi con i nasi incollati ai vetri di casa, come all’oblò di una navicella in una galassia di nulla, constatavano: “Gh’•è el nebiun”. I portieri che si allontanavano dai pali rischiavano di perdersi come il nonno felliniano di Amarcord davanti al cancello di casa. Gli attaccanti tornavano trionfanti in difesa ad annunciare a compagni ignari il gol appena segnato, come Fidippide da Maratona. Vecchioni cantava Luci a San Siro:“Ricordi il gioco dentro la nebbia? Tu ti nascondi e se ti trovo ti amo là...”. Nebbioni fitti da piantarci un chiodo che arrivano di colpo e di colpo restituivano il campo a spettatori felici come marinai di Colombo: “Terra!”. Allora non c’era il pallone giallo e rosso dell’Uomo Ragno e i calciatori non avevano ai piedi tinte da bazar turco. Non c’erano fluorescenze a bucare le ombre. Scarpe e pallone vestivano colori sacri, come lo sposo e la sposa: il bianco e il nero.
Poi di colpo, a sparire, è stata la nebbia perché i camini hanno smesso di sbuffare carbone e la terra si è surriscaldata. Così del calcio si è visto tutto, anche di più, perfino il labiale blasfemo dei calciatori, le ossa fratturate, i calciatori in mutande che si mettono i parastinchi in spogliatoio, i gol fantasma.
La grande novità meteorologica dell’autunno 2015 è il ritorno del nebiun, un reflusso vintage che avrebbe apprezzato anche Oscar Wilde: “È l’incertezza che affascina. La nebbia rende le cose meravigliose”.
Una sottoveste non toglie, aggiunge. La partita può nascondersi nel grigio. Ma se la ritrovo, la amo là. Ricordi il gioco?