Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 15 Martedì calendario

Come giocano bene a pallone a Molenbeek, il paesino da dove sono partiti i terroristi della strage di Parigi

Superato il ponte di Porte de Flandre sul Canale di Charleroi, che taglia a ovest Bruxelles, si è nel centro storico di Molenbeek, uno dei 19 Comuni della Regione. A 15 minuti a piedi o a 3 fermate di metro dal centro, dalla Borsa e dalla turistica Grand Place di Bruxelles. Ha ragione, su Le Monde, Alexandre Laumonier, antropologo belga, a dire che Molenbeek non è una banlieu, né un ghetto, né una periferia. Non è, per capirci, Clichy-Sous-Bois, comune parigino dove 10 anni fa scoppiò la rivolta. Allora perché da Molenbeek sono venuti fuori i fratelli Abdeslam, responsabili della strage del 13 novembre a Parigi, e con loro Abaaoud? Perché da Molenbeek sono partiti gli assassini del generale anti-talebano Massud nel 2001 in Afghanistan? E uno dei cervelli degli attentati di Madrid nel 2004, e l’autore dell’attacco al Museo ebraico di Bruxelles nel 2014, e El Qahzzani, fallito attentatore del treno Amsterdam-Parigi ad agosto? Perché al centro della capitale d’Europa c’è quello che i giornali di mezzo mondo hanno definito «covo di jihadisti»? Perché da qui sono partiti decine di ragazzi per la guerra santa in Siria? E, domanda banale all’apparenza, che cosa possono fare lo sport e il calcio contro le armi e il proselitismo jihadista?
Decine di quartieri, all’80% maghrebini
Partiamo dai dati. Molenbeek geograficamente non è periferia. Ma nel corso dei decenni si è popolata prima di immigrati europei (italiani in primis), poi dagli anni 60 di maghrebini (in particolare marocchini). E ora pure di famiglie dell’Est europeo, romeni e polacchi su tutti, grazie all’allargamento della Ue. A noi italiani la vecchia Molenbeek può ricordare un vialone di Milano, via Padova, 2 km, che parte da piazzale Loreto. Non proprio il centro, ma quasi. Ebbene a via Padova sono presenti oltre 50 nazionalità. A Molenbeek est, zona adiacente il centro di Bruxelles, sono quasi un centinaio. La popolazione in 10 anni è cresciuta da 76 mila a quasi 100 mila abitanti. E oggi il 62% dei residenti nella regione di Bruxelles è straniero o nato da immigrati. Ma Molenbeek è ancora più complicata. La parte Ovest, intorno allo stadio Machtens del 1920, era detta la piccola Manchester, per l’industrializzazione della zona (ormai un ricordo) e le case di mattoncini rossi. Qui vive ancora il ceto medio bianco rimasto, accanto alla piccola borghesia d’immigrazione. Più a Est, oltre la metro Osseghem, sembra invece una piccola Rabat. Donne velate col hijab e alcune col niqab, l’abito che lascia scoperti solo gli occhi. Alimentari halal, cioè con cibo preparato in modo conforme ai precetti della legge islamica. E una ventina di moschee. Spesso dei garage o degli stanzoni dove ci si riunisce in preghiera. In questa zona ci sono micro quartieri dove la popolazione è all’80% di origine maghrebina. Ma belga di passaporto: son tutti figli e nipoti d’immigrati.
Da qui son partiti Januzaj e Batshuayi
Qui fare sport, e calcio, è molto difficile. Fra disoccupazione, abbandono scolastico, bassi salari ed emarginazione. Eppure Molenbeek ha uno dei migliori vivai di football del Belgio. Eppure qui in zona sono cresciuti Januzaj del Manchester United, Batshuayi del Marsiglia o Denayer del Galatasaray. Ma, se non bastassero le difficoltà, i due club calcistici principali della municipalità sono in lotta fra loro. Uno, erede del vecchio club che giusto 40 anni fa vinse il titolo belga (Rwdm47 ora o Racing White Daring) e che nel 1977 arrivò in semifinale di Uefa (perdendo con l’Athletic) ma finito in Promotion, quarta serie, dopo due fallimenti; l’altro il Royal White Star Bruxelles, club nato a est della capitale (Woluwe), dal giugno 2013 si è trasferito a Molenbeek per usare lo stadio Machtens e milita in B. Proprio l’uso dell’impianto ha creato tensioni e controversie (vedi pagina accanto). Sotto la tribuna Goethals, vincitore col Marsiglia della Champions 1993, ma bruxellois doc, ci accoglie Julien Carpentier, direttore marketing e comunicazione delle White Star di B: «Abbiamo il 2° miglior vivaio del Belgio e gli ultimi 2 anni abbiamo vinto il torneo Primavera. Abbiamo 600 tesserati, dai 6 ai 21 anni, 35 squadre maschili e ogni anno riceviamo 1.800 richieste d’iscrizione. I ragazzi sono in maggioranza della regione di Bruxelles, in particolare di Molenbeek. Il budget per il solo vivaio è di 2,5 milioni di euro ma dico con orgoglio che circa il 30% della prima squadra oggi è costituita dai nostri ragazzi». L’obiettivo, ovvio, è arrivare in A, quanto prima. «Intanto sviluppiamo talenti. E abbiamo un ruolo sociale. Perché Molenbeek è uno dei Comuni più poveri del Paese. Il calcio può essere un mezzo per curare il malessere sociale dei giovani, un vettore d’aiuto». Già, allontanare i ragazzi dalla strada. E non solo. «Noi forniamo dei docenti che aiutano i giovani, a mo’ di doposcuola, a fare i compiti prima di allenarsi, e poi seguiamo i risultati scolastici di ognuno, in modo che se vanno male li sanzioniamo sul piano sportivo, per farli impegnare di più a scuola, per stimolarli. Tutti i nostri ragazzi vanno a scuola. Cerchiamo di coinvolgere i parenti su questa impostazione e le autorità». Ma non basta. «Lavoriamo con le scuole, le associazioni sportive, altri club minori nostri partner come Fc Jeunesse Molenbeek e Fc Molenbeek Girls, che hanno 700 tesserati, cui forniamo i nostri insegnanti, medici, sponsor, in cambio di un diritto di prelazione». Il problema è il costo d’iscrizione. A Molenbeek spendere 400 euro all’anno per il calcio può essere tanto. «Vero, ma forniamo il bus per andarli a prendere, le divise e, per chi non può permetterselo, abbiamo delle borse di studio o dei pagamenti dilazionati. Ci aiutano anche grandi sponsor, come Nike, Pepsi, Citroen o Jupiler. E poi gli Under 16 allo stadio entrano gratis». Il comune può poco. Qualche migliaio di euro per il vivaio.
«Aprire la comunità»
Anche i «rivali» Rwdm47, della Molenbeek più europea e borghese, vogliono darsi da fare. Dopo due fallimenti in 13 anni sono ripartiti da appena 6 mesi, senza presidente e finanziatore, ma con un consiglio d’amministrazione di 6 membri, di cui fa parte Danny Vander Eeckt, fra i primi sponsor (ha una ditta di car wash). «Intanto abbiamo 3-4 mila spettatori – ci dice – e per la 4ª serie vuol dire affetto immutato per lo storico Rwdm, che ai tempi faceva paura all’Anderlecht. Abbiamo un gran seguito fra i giovani, siamo popolari, anche se ci hanno accusato di razzismo, perché su migliaia di supporter c’è stato qualcuno dei nostri che in consiglio comunale ha insultato l’assessore d’origine maghrebina, è intervenuta la polizia e così ci hanno appioppato la nomea di razzisti. Ma noi abbiamo africani e maghrebini nel nostro club, in campo e in tribuna, per un 20%, abbiamo fiamminghi e valloni alla pari, siamo come Molenbeek, un gran mélange». Anche il loro obiettivo è ritornare in alto, fra i pro: «Per ora abbiamo un budget ristretto, 400 mila euro, ma ben 2 mila abbonamenti. Tutto crescerà man mano che risaliamo, ci sono decine di sponsor pronti a intervenire dopo la promozione. A gennaio lanciamo un vivaio nostro, per 4-500 giovani, poi dei clinics l’anno prossimo presso le scuole, per coinvolgere più ragazzi possibili, per non abbandonarli in strada o a fumare nei bar. L’Est di Molenbeek è una zona difficile, ma bisogna sforzarsi di aprire la comunità a tutti». Perché come sostiene Jamal Habbachich, belga d’origine marocchina e presidente del Consiglio degli imam, «è nei bar e per strada che i ragazzi si radicalizzano. In moschea ci vengono fino ai 10 anni, poi chi li vede più». Il calcio allora può essere un antidoto.