La Lettura, 13 dicembre 2015
Ritratto del preside contemporaneo
Psicologo, avvocato, ingegnere, certificatore. Se va bene. Altrimenti questuante, moderatore di conflitti, pellegrino (se ha tante sedi), consolatore. Con un guardaroba di maschere da indossare: manager, burocrate, investigatore, commercialista. Ritratto del preside contemporaneo. Niente statistiche, nessun algoritmo. Questa volta il dirigente scolastico è stato osservato da vicino. Seguendo le sue interminabili giornate fatte di colloqui, incontri, riunioni, drammi da risolvere in poco tempo e con poca spesa. E il risultato è un ebook voluto dalla fondazione Giovanni Agnelli, scritto dal ricercatore in Sociologia all’università di Perugia Massimo Cerulo e pubblicato da Rubbettino. Il titolo la dice lunga: Gli equilibristi.
La tecnica usata, conosciuta in sociologia ma inedita nel mondo dell’istruzione, è quella dello shadowing. Come un’ombra (questa appunto la traduzione), Cerulo ha seguito quattro dirigenti di altrettanti istituti italiani. Piemonte, Veneto, Calabria, Puglia. Uno alla settimana. Il fine: capire meglio la figura del preside raccontando la sua vita quotidiana, la gestione delle emozioni, il rapporto con i colleghi. Compiendo un viaggio nella scuola «reale», quella senza picchi di eccellenza e senza situazioni scandalose (che naturalmente esistono ma non sono rappresentative del Paese). Con la curiosità dell’antropologo «davanti a una tribù mai vista prima» e l’obiettività dello scienziato. Con la serietà dello studioso e il sorriso di chi si sta divertendo. Molto.
Prima avventura, ottobre 2014, liceo scientifico di Torino (in questo studio scuole e personale restano anonimi). Cerulo si siede accanto alla preside (nel 2014/15 le dirigenti donne sono salite al 64 per cento del totale, contro il 37 per cento del 1998), la lascia discutere con la responsabile dei servizi amministrativi – altro ruolo cruciale –, si parla di una gita finita con un bagno ghiacciato a Vichy, dei bandi per lo sportello psicologico (che qui, fortunatamente, c’è), dell’acquisto di materiali, di firme elettroniche, di un progetto da portare avanti nonostante le incertezze della normativa. Arriva una mamma che vuole iscrivere il figlio a un anno di scambio all’estero. E la notizia di un ragazzo colpito da un malore.
I ritmi sono serrati. Il ricercatore fa notare: «E sì che alcuni dirigenti sembravano preoccupati perché la mia visita coincideva con un periodo tranquillo. Chissà quando ci sono le emergenze...». Perché il punto è proprio questo, il preside vive le sue giornate in perenne stato di affanno, nella sua stanza entrano a ogni ora docenti, bidelli, studenti. Per chiedere consigli, denaro, ma soprattutto firme. Le responsabilità del capo di istituto (e la sua solitudine). Lavagne elettroniche che non funzionano, appalti da verificare, episodi di bullismo da sanzionare. E poi i supplenti. Chiamati in base alle graduatorie, «senza che nessuno possa vederli in faccia anche solo per tre minuti». Ecco una delle grandi lacune del sistema: «I dirigenti – auspica Cerulo – dovrebbero avere la possibilità di incontrare i nuovi docenti almeno una volta prima di assegnare l’incarico. Qualche potere in più, in attesa della futura applicazione della legge sulla “Buona Scuola”, andrebbe loro garantito». E magari maggiore stabilità: a causa di spostamenti, assunzioni e pensionamenti, solo due terzi degli istituti mantengono lo stesso preside da un anno all’altro.
Tour in un tecnico professionale nella Provincia di Treviso, lo shadowing continua, la mole di documenti da firmare non cambia. Come il nodo della selezione del personale, il difficile rapporto con gli assistenti-bidelli, il dramma della burocrazia (decine di acronimi da sciogliere: Mof, Lim, MePa, Durc). Una strigliata ai ragazzi indisciplinati, l’elezione dei rappresentanti dei genitori, la presentazione del bilancio, il reperimento di professori di sostegno, gli spostamenti di orario, la conflittualità con i sindacati, follie come l’«autocertificazione di non pedofilia» richiesta al personale. La preside veneta alle 7.40 è già sulla sua scrivania. «Non sono eroi, ma si impegnano molto e sono pagati pochissimo rispetto alle loro responsabilità penali, civili, amministrative», continua Cerulo. Ma la pausa caffè è sacra.
Liceo scientifico dell’area urbana di Cosenza, 23 febbraio 2015, la porta del preside è spalancata. Sorpresa: tre docenti in pensione fanno volontariato gratuito nelle loro vecchie classi. Per nulla nuova, invece, la discussione sul contributo volontario chiesto alle famiglie, quei fondi in più che servono a far funzionare – decentemente – la scuola. A Torino superava i 100 euro, ma il preside cosentino ammette: «In molti non lo vogliono versare». La questione è seria, Cerulo analizza: «Esistono due scuole, quelle del Nord e quelle del Sud. E ragazzi del Sud più sfortunati rispetto ai coetanei settentrionali. Il motivo? Per la loro formazione dove non arriva la scuola non arriva nemmeno la famiglia: la comunità non crede e non investe nell’istruzione. Le responsabilità sono dello Stato, che dovrebbe erogare risorse in base al territorio».
Lo sconforto a volte c’è: per i docenti che non accettano ore (pagate) in più, per la mancanza di organizzazione (nel 2012 la qualità manageriale delle superiori italiane era a livelli bassissimi rispetto ad altri Paesi), per le lamentele dei genitori. Anche in Puglia, nell’istituto tecnico-professionale di Bari protagonista dello shadowing, i problemi si rincorrono, il dirigente li elenca: «Il primo è la conflittualità con le famiglie». A seguire: le questioni legali (mobbing, supplenze, infortuni) per le quali il dirigente sostituisce l’avvocatura dello Stato in tribunale; l’integrazione degli alunni rom e degli stranieri (il preside «ha» anche un’elementare); le buche nel parcheggio interno. Tenere insieme questo puzzle è complicato. E lo è soprattutto per un dirigente che ha perso la funzione di leader educativo (in nessuno dei casi studiati viene colto a discutere di didattica o indirizzi specifici) per diventare manager, in bilico tra mille ruoli che al Sud aumentano. Un acrobata che avrebbe bisogno – dice nella prefazione Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Giovanni Agnelli – di colleghi (interni), con posizioni di middle management, che lo sgravino dal fardello dell’«uomo solo al comando». La Fondazione Agnelli da tempo insiste su due punti: la necessità di una maggiore autonomia del capo di istituto, «nonostante i timidi poteri affidatigli dalla “Buona Scuola”» – dice ancora Gavosto – e un sistema di valutazione efficace, «perché se il vertice è di qualità lo è anche l’istituto». Consigli utili per il futuro dell’istruzione italiana. E per evitare al preside equilibrista rovinose cadute nel vuoto.