Io Donna, 12 dicembre 2015
La guerra per i corni dei rinoceronti
La guerra infinita non concede tregue. Il destino dei protettori è di stare costantemente in allarme, dormire con un occhio aperto, avere riflessi fulminei per contrastare gli aggressori, loro sì sempre pronti a far male. Nemmeno la foresta fitta, le paludi e gli intrichi di liane che si allargano alle pendici dell’Himalaya, nell’India settentrionale, dove l’Assam sfiora il Bhutan sono d’aiuto. Anzi, spesso i bracconieri – perché è da loro che le guardie dei parchi nazionali di Kaziranga e Manas si devono guardare – hanno la meglio dal momento che, come belve feroci e impietose, si nascondono nel verde fitto e colpiscono a tradimento.
È successo da poco. Proprio a Kaziranga. Un gruppo di cacciatori di frodo, di notte, ha colpito a morte una mamma rinoceronte. «Hanno utilizzato un fucile con cartucce a carica esplosiva e mirino a raggi infrarossi» ha spiegato Seal Sarma, il direttore dei parchi al quotidiano The Times of India. «Ma stavolta non sono riusciti a strappare il corno al povero animale: le guardie del parco hanno reagito con prontezza, hanno aperto il fuoco e loro sono fuggiti». Sarà, ma il povero esemplare di rinoceronte è rimasto a terra, mentre il suo cucciolo provava disperatamente a farla rialzare.
Una scena che si ripete di frequente nel “paradiso dei rinoceronti”, Kaziranga, dove vivono – al momento – almeno 2000 animali unicorni. Non sanno, questi poveretti, che in Cina, in Vietnam e altri Paesi asiatici, la protuberanza che si eleva dalla punta del loro naso è considerata – ridotta in polvere – un potente preparato farmaceutico e anche un afrodisiaco (anche se non è necessario, lo specifichiamo: la scienza ha dimostrato la totale inefficacia del corno di rinoceronte). E dunque i bracconieri continuano la loro caccia assurda, perché un corno (che può essere strappato soltanto da un animale morto) frutta molti soldi al mercato nero. Vale più dell’oro, più della cocaina: fino a 95 mila dollari al grammo, come dire che un grande esemplare porta a spasso dai 750 mila al milione di dollari. E l’ingordigia umana non si ferma certo di fronte agli occhi disperati di un cucciolo che resta senza madre.
Dunque, quando la tragedia si fa realtà, le guardie del parco non possono fare altro che addormentare il piccolo di rinoceronte; l’ultima, una femmina, è stata battezzata Purobi e portata a Manas per farla crescere insieme a un altro orfano, Ruhon, la cui mamma ha fatto la stessa fine lo scorso settembre. «Sono 14, dall’inizio dell’anno, i rinoceronti uccisi di frodo» spiega ancora Seal Sarma. Ma non sono gli unici a cadere in questa guerra: secondo le autorità dell’Assam, 18 bracconieri sono stati abbattuti dalle guardie del parco durante scontri a fuoco, mentre 62 sono stati arrestati. Sembra incredibile, ma il contrabbando di corni si accompagna a quello delle armi e delle specie rare, oltre che al riciclaggio di denaro e al terrorismo.
«Le bande sono le stesse» dicono i responsabili di una lotta spietata che preoccupa per le conseguenze sull’equilibrio della fauna della foresta. Nei parchi di Kaziranga e Manas vivono anche cervi, tigri, elefanti, scimmie e ogni genere di uccelli. Azzerare una specie significa mettere in serio pericolo tutte le altre. Per questo, i responsabili del parco hanno allestito una nursery a Manas dove accudire i cuccioli rimasti orfani fino al momento del ritorno in natura. I visitatori dei parchi – indiani soprattutto ma anche molti stranieri – hanno la possibilità di osservare come gli addetti danno il latte ai “piccoli” (si fa per dire: un cucciolo di elefante o di rinoceronte pesa diverse centinaia di chili) con giganteschi biberon che loro si scolano in pochi istanti.
Basta per ripristinare l’equilibrio spezzato da un colpo di fucile? Nessun umano, in realtà, può sostituire l’educazione naturale che essi avrebbero ricevuto dalla madre o dal branco. Ma certo è meglio di niente. Anche perché i pericoli per la fauna si moltiplicano con l’estendersi dell’antropizzazione. Molti elefanti, per esempio, muoiono avvelenati quando provano a nutrirsi nelle piantagioni di tè. I contadini sostengono che sono i pesticidi sparsi sulle foglie delle piante a risultare letali. Le autorità dei parchi – all’interno dei quali si trovano diversi villaggi – sospettano azioni volontarie. Ma è difficile mantenere la pace sociale quando animali così grandi e l’uomo sono costretti a vivere a stretto contatto.
Perciò, diversamente che con i bracconieri, talvolta è necessario chiudere un occhio, se non entrambi, quando viene ritrovato un pachiderma senza vita all’interno di una proprietà. Alla fine, mentre diminuisce progressivamente la popolazione selvatica dei parchi, aumenta quella dei centri di soccorso. E, a dispetto, di quanto si possa immaginare, crescere vicino all’uomo (per quanto ben disposto) non è affatto un bene: perché poi, una volta liberati, continueranno a fidarsi di lui.