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 2015  dicembre 15 Martedì calendario

Si chiude un altro capitolo di storia dell’industria italiana

Era rimasto l’ultimo dei nostri grandi carrozzieri indipendenti. Adesso che, dopo 85 anni d’attività, l’impresa torinese affermatasi nel mondo per l’eccezionale originalità delle sue realizzazioni, passa sotto l’egida di un Gruppo della conglomerata indiana Mahindra, si chiude anche un capitolo di storia dell’industria italiana che ha avuto fra i suoi tratti distintivi una feconda interrelazione fra produzione automobilistica e creatività progettuale, fra tecnologia e design.
Di questa vicenda Battista Farina (decimo di undici figli di una famiglia di umili origini, che in casa chiamavano “Pinin”) è stato per trent’anni un protagonista, abbinando dapprima una sagace abilità artigianale e una singolare inventiva e poi elaborando una concezione, destinata a far testo nel campo della carrozzeria, nitida nei suoi lineamenti quanto funzionale.
Amava dire che «guidare i muscoli delle braccia coi riflessi della mente è la più bella igiene del lavoro», come aveva appreso nel suo noviziato e da allora aveva sviluppato la sua vocazione per il manufatto impeccabile, confezionato a regola d’arte.
Giovanni Agnelli, che scoprì per primo il talento di quel giovanotto, e Vincenzo Lancia, che assicurò il suo appoggio all’impresa fondata nel maggio 1930 da Pinin, avevano perciò intuito fin dall’inizio quale elemento importante potesse divenire, a fini commerciali e d’immagine, la combinazione fra estro artistico e applicazioni tecniche in alcune vetture fuoriserie, destinate a una schiera di appassionati in Italia e all’estero. D’altronde, Pinin era convinto che occorresse «collegare in modo vitale il fatto creativo e il processo di produzione» in modo che le «norme industriali non soffocassero quella realtà individuale definibile come stile».
Quest’idea forza portò la Pininfarina a conseguire, con i suoi pregevoli modelli, un successo dopo l’altro, coronati nel 1954 anche da una vasta popolarità dopo l’exploit della “Giulietta spider”, una piccola-media cilindrata, scattante e dalla nervatura snella, che pareva fatta su misura per i sogni degli italiani di quell’epoca alle soglie del “miracolo economico”.
Con il trasferimento nel 1958 dell’azienda in un nuovo stabilimento a Grugliasco, all’estrema periferia di Torino, il figlio di Pinin, Sergio, e il genero Renzo Carli seppero replicare le performances di un marchio divenuto uno degli emblemi per eccellenza del made in Italy. Un passo decisivo venne compiuto con la fornitura di carrozzerie in maggior serie sui pianali forniti dai costruttori, seguitando tuttavia a sviluppare la ricerca di nuove forme e soluzioni stilistiche. Mentre, rimase saldo il sodalizio stabilitosi da tempo con la Ferrari, la Pininfarina si distinse in fatto di sperimentazioni per due importanti iniziative pionieristiche intraprese fra il 1966 e il 1967: da un lato, la costruzione di una “galleria del vento”, per controllare scientificamente i valori aerodinamici delle carrozzerie; dall’altro, l’impianto di un Centro dotato di macchine per la misurazione e la tracciatura tridimensionale di apparecchiature di disegno digitali, che pose le basi per automatizzare la progettazione di un’autovettura. A chi gli chiedeva quale fosse il segreto del successo, Sergio rispondeva perciò che consisteva nella versatilità.
Numerose sono stati anche negli anni successivi i modelli realizzati (parecchi dei quali anche in partnernship con case automobilistiche straniere) e impostisi per singolari caratteristiche sia nelle loro linee esterne che negli arredi interni. Tanto da consacrare il ruolo della Pininfarina quale impresa leader a livello mondiale nel proprio settore.
Accanto a Sergio (eletto nel 1988 alla presidenza di Confindustria) aveva man mano assunto importanti responsabilità direttive uno dei suoi figli, Andrea, a cui venne affidata in particolare la gestione operativa della costruzione con la General Motors della “Allanté”, in base a una sorta di “air bridge” fra Torino e Detroit. Dall’esperienza americana egli aveva poi tratto una lezione preziosa: che la produzione andava fatta vicino al mercato o comunque non troppo lontano dalle proprie basi. Di qui la successiva intensificazione dei rapporti con la Fiat e la Peugeot, clienti con cui si lavorava da lungo tempo per forniture di maggiori dimensioni.
Andrea (eletto nel 1997 a capo di Federmeccanica) riteneva che l’ingegnerizzazione, quale anello di congiunzione fra design e produzione, fosse essenziale per ampliare la gamma dei servizi e delle tecnologie dell’azienda, quale partner globale di grandi costruttori. A tal fine era sorto nell’ottobre 2002 a Cambiano un nuovo Centro di enginearing, con cui realizzare per conto terzi una vettura dal progetto su carta alla messa su strada del prodotto. Senonché, dopo la tragica scomparsa di Andrea nell’agosto 2008 per un incidente stradale, questo progetto dovette essere ridimensionato e toccò a suo fratello Paolo (che intanto aveva avviato un’attività complementare nella produzione di oggetti che coniugavano cultura estetica e ricerca industriale) il compito di gestire l’azienda in difficili condizioni finanziarie (per via dei crescenti investimenti avvenuti in precedenza) e alle prese poi con la competizione di alcune grosse multinazionali dedicatesi allo stesso genere d’attività, risultata alla lunga insostenibile.
Giovanni Agnelli, che scoprì per primo il talento di quel giovanotto, e Vincenzo Lancia, che assicurò il suo appoggio all’impresa fondata nel maggio 1930 da Pinin, avevano perciò intuito fin dall’inizio quale elemento importante potesse divenire, a fini commerciali e d’immagine, la combinazione fra estro artistico e applicazioni tecniche in alcune vetture fuoriserie, destinate a una schiera di appassionati in Italia e all’estero. D’altronde, Pinin era convinto che occorresse «collegare in modo vitale il fatto creativo e il processo di produzione» in modo che le «norme industriali non soffocassero quella realtà individuale definibile come stile».
Quest’idea forza portò la Pininfarina a conseguire, con i suoi pregevoli modelli, un successo dopo l’altro, coronati nel 1954 anche da una vasta popolarità dopo l’exploit della “Giulietta spider”, una piccola-media cilindrata, scattante e dalla nervatura snella, che pareva fatta su misura per i sogni degli italiani di quell’epoca alle soglie del “miracolo economico”.
Con il trasferimento nel 1958 dell’azienda in un nuovo stabilimento a Grugliasco, all’estrema periferia di Torino, il figlio di Pinin, Sergio, e il genero Renzo Carli seppero replicare le performances di un marchio divenuto uno degli emblemi per eccellenza del made in Italy. Un passo decisivo venne compiuto con la fornitura di carrozzerie in maggior serie sui pianali forniti dai costruttori, seguitando tuttavia a sviluppare la ricerca di nuove forme e soluzioni stilistiche. Mentre, rimase saldo il sodalizio stabilitosi da tempo con la Ferrari, la Pininfarina si distinse in fatto di sperimentazioni per due importanti iniziative pionieristiche intraprese fra il 1966 e il 1967: da un lato, la costruzione di una “galleria del vento”, per controllare scientificamente i valori aerodinamici delle carrozzerie; dall’altro, l’impianto di un Centro dotato di macchine per la misurazione e la tracciatura tridimensionale di apparecchiature di disegno digitali, che pose le basi per automatizzare la progettazione di un’autovettura. A chi gli chiedeva quale fosse il segreto del successo, Sergio rispondeva perciò che consisteva nella versatilità.
Numerose sono stati anche negli anni successivi i modelli realizzati (parecchi dei quali anche in partnernship con case automobilistiche straniere) e impostisi per singolari caratteristiche sia nelle loro linee esterne che negli arredi interni. Tanto da consacrare il ruolo della Pininfarina quale impresa leader a livello mondiale nel proprio settore.
Accanto a Sergio (eletto nel 1988 alla presidenza di Confindustria) aveva man mano assunto importanti responsabilità direttive uno dei suoi figli, Andrea, a cui venne affidata in particolare la gestione operativa della costruzione con la General Motors della “Allanté”, in base a una sorta di “air bridge” fra Torino e Detroit. Dall’esperienza americana egli aveva poi tratto una lezione preziosa: che la produzione andava fatta vicino al mercato o comunque non troppo lontano dalle proprie basi. Di qui la successiva intensificazione dei rapporti con la Fiat e la Peugeot, clienti con cui si lavorava da lungo tempo per forniture di maggiori dimensioni.
Andrea (eletto nel 1997 a capo di Federmeccanica) riteneva che l’ingegnerizzazione, quale anello di congiunzione fra design e produzione, fosse essenziale per ampliare la gamma dei servizi e delle tecnologie dell’azienda, quale partner globale di grandi costruttori. A tal fine era sorto nell’ottobre 2002 a Cambiano un nuovo Centro di enginearing, con cui realizzare per conto terzi una vettura dal progetto su carta alla messa su strada del prodotto. Senonché, dopo la tragica scomparsa di Andrea nell’agosto 2008 per un incidente stradale, questo progetto dovette essere ridimensionato e toccò a suo fratello Paolo (che intanto aveva avviato un’attività complementare nella produzione di oggetti che coniugavano cultura estetica e ricerca industriale) il compito di gestire l’azienda in difficili condizioni finanziarie (per via dei crescenti investimenti avvenuti in precedenza) e alle prese poi con la competizione di alcune grosse multinazionali dedicatesi allo stesso genere d’attività, risultata alla lunga insostenibile.