Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2015
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Quei bond subordinati avevano tassi di rendimento troppo bassi. Un altro punto a sfavore per Banca Etruria
«Ad alti rendimenti, corrispondono elevati rischi». Si sente spesso dire che i risparmiatori rimasti incastrati nei bond di Banca Marche, Popolare Etruria, CariChieti e CariFerrara avrebbero dovuto accorgersi dei rischi che correvano, guardando gli elevati tassi d’interesse che le loro obbligazioni elargivano. Non è vero. Ripetiamo, non è vero: il problema di queste obbligazioni sta proprio nel fatto che troppo spesso non offrivano rendimenti sufficientemente elevati, tali da far scattare anche negli sprovveduti risparmiatori un campanello d’allarme. Anzi, è accaduto proprio il contrario: queste obbligazioni subordinate offrivano spesso rendimenti fuori mercato, fuori dalla logica, fuori dalla realtà. Insomma: chi comprava quei bond rischiava tanto, ma guadagnava poco. Per questo non percepiva il pericolo.
Bastano pochi casi concreti, selezionati per il Sole 24 Ore da Consultique, per capirlo. Il 30 ottobre del 2013 la Popolare dell’Etruria emette un bond subordinato, destinato ai risparmiatori, con un rendimento del 5%. Nello stesso periodo Intesa Sanpaolo emette un titolo analogo, ma destinato agli investitori istituzionali, che paga una cedola del 6,625% e ha un rendimento effettivo del 6,75%. Ebbene: la Popolare dell’Etruria pagava ai propri risparmiatori un tasso d’interesse 1,75 punti percentuali inferiore rispetto a quanto offriva la banca più grande e tra le più solide d’Italia. Si tenga conto che in quel periodo i tassi d’interesse non erano a zero come oggi, ma più alti: un BTp decennale a quei tempi rendeva il 4,18%, dunque poco meno del bond subordinato della Popolare dell’Etruria.
«È difficile dire quale avrebbe dovuto essere il rendimento corretto di quell’obbligazione della Popolare dell’Etruria, perché non esistono obbligazioni veramente paragonabili, ma di sicuro avrebbe almeno dovuto avere un tasso d’interesse paragonabile a quello di Intesa Sanpaolo», osserva Marcello Ferrara, analista di Consultique. In realtà la Popolare dell’Etruria avrebbe dovuto offrire molto più di una banca solida come Intesa, ma anche supponendo una solidità analoga significa che il suo bond ha “tolto” per anni almeno 1,75 punti percentuali di interessi ai risparmiatori. In soldoni: chi ha investito in questo bond 10mila euro, ha dunque “perso” (in termini di mancati interessi) almeno 175 euro l’anno. E questo già prima del salvataggio.
Questo è il problema. Tassi d’interesse così bassi non solo tolgono ai risparmiatori legittime fonti di reddito, ma per di più li traggono in inganno: perché il risparmiatore, vedendo un rendimento tutto sommato normale, non percepisce alcun rischio. E lo stesso è accaduto alle altre banche oggetto del salvataggio attuale. CariChieti, ha scoperto Consultique, il 30 aprile del 2012 ha emesso un bond subordinato per la propria clientela con un rendimento del 5%. Sapete quello stesso giorno quanto rendeva un bond subordinato di UniCredit con analoga durata? Il 7,21%. Nel luglio del 2012 (in piena crisi dello spread) la stessa CariChieti ha collocato ai soliti risparmiatori un bond subordinato al tasso del 5%. E UniCredit? Quello stesso giorno un suo titolo analogo con scadenza simile offriva a chi lo avesse acquistato il 7,41%. Certo, ci possono essere sfumature tecniche che differenziano i due titoli, ma un gap così elevato di rendimento non è affatto giustificato. Anzi.
Il problema delle obbligazioni delle quattro banche salvate non sta dunque solo nel default: in fondo i fallimenti o i salvataggi fanno parte della storia di milioni di imprese e banche nel mondo. Si pensi che solo negli Usa dal 2008 sono fallite oltre 450 banche piccole. Il problema è un altro: queste obbligazioni avrebbero dovuto offrire rendimenti adeguati e avrebbero dovuto essere vendute a chi era in grado di capirle.