Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2015
Ecco il piano tedesco su debito e aiuti europei
Gli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce proseguiranno per fortuna ancora a lungo, fino a quando le condizioni finanziarie dell’euro-area non si saranno normalizzate. Se non fosse così, un piano per la riforma dell’euro-area che è stato predisposto dal governo tedesco e che propone la ristrutturazione automatica del debito pubblico dei Paesi in difficoltà, renderebbe ancora più difficile – se attuato – la situazione dei Paesi ad alto debito. Il piano è rimasto finora riservato. Ma è facile prevedere che susciterà una forte resistenza tra i Paesi fiscalmente più deboli e tra tutti quelli che sono interessati a rafforzare la governance economica dell’euro-area.
Le proposte di Berlino entreranno così in un negoziato complesso che vede tra le contropartite richieste dagli altri paesi un’assicurazione comune per i depositi delle banche europee.
Nel documento sullo “Sviluppo dell’unione economica e monetaria”, inviato al Parlamento tedesco dal ministero delle Finanze di Berlino e ottenuto dal Sole 24 Ore, il governo di Berlino propone la ristrutturazione automatica del debito pubblico di ogni Paese che dovesse richiedere assistenza al Meccanismo europeo di stabilità, il cosiddetto fondo salva stati. In base alla proposta tedesca, nel caso in cui un Paese chiedesse aiuto finanziario ai partner, la scadenza delle sue obbligazioni pubbliche verrebbe automaticamente allungata.
Il documento è stato inviato alla fine di novembre dal viceministro delle Finanze Jens Spahn in risposta a un’interrogazione dei presidenti delle commissioni Finanza (Ingrid Arndt-Bauer) e Bilancio (Gesine Lötzsch) del Parlamento. Il testo presenta «elementi di dibattito», disegnando in realtà una serie precisa di cambiamenti dell’euro-area che completerebbero lo spostamento della governance economica europea: anziché mettere in comune i rischi, i costi della crisi verrebbero ancor più decentrati verso i Paesi in difficoltà accentuando la rischiosità degli investimenti in titoli del debito pubblico. In tal modo si intende ridurre il rischio di far pagare ai contribuenti dei Paesi più forti i debiti dei Paesi che incontrassero difficoltà di finanziamento, qualunque sia l’origine dei loro problemi. Le proposte di Berlino sono particolarmente rilevanti per l’Italia, unico Paese ad alto debito che ha evitato di ricorrere al fondo salva stati.
In particolare, nel paragrafo 4 dedicato all’unione bancaria, il documento del governo tedesco si schiera con la richiesta da tempo avanzata dalla Bundesbank, la banca centrale tedesca, di ottenere che ai titoli pubblici venga tolta la qualifica di non-rischiosità. Proprio questa «eccezione regolatoria» favorisce il loro accumulo nei bilanci bancari senza contropartite nel capitale di garanzia. Il ministero guidato da Wolfgang Schäuble propone che l’euro-zona proceda alla definizione di rischiosità dei titoli pubblici in modo indipendente da quello che decideranno i regolatori internazionali di Basilea (la Bri). Una volta stabilito che i titoli pubblici (alcuni in particolare) sono titoli come gli altri, le banche saranno incentivate a ridurne le quantità detenute in bilancio e questo interromperebbe il circolo vizioso in ragione del quale una crisi nel finanziamento del debito pubblico mette a pericolo anche i bilanci delle banche e viceversa. A quel punto, si ritiene, la ristrutturazione del debito sarebbe possibile senza fermare tutta l’economia. La separazione tra i rischi dello stato e quelli delle banche viene considerato da Berlino un «obiettivo centrale» della riforma dell’euro-area, così come la riduzione del livello del debito pubblico medio dell’euro-area.
Secondo il documento, «un livello del debito pubblico pari al 94% del Pil in aggregato espone l’euro-area a rischi di mercato e riduce i margini di manovra nei bilanci pubblici: questo livello deve essere ridotto in modo permanente». Il governo tedesco chiede quindi un’applicazione del Patto di stabilità e di crescita «più fortemente orientata alla stabilità». Il conseguimento dell’obiettivo di medio-termine (il riferimento fondamentale dell’equilibrio di bilancio strutturale secondo il Patto) richiede un impiego credibile delle regole in sintonia con un’interpretazione comune della flessibilità.
A Berlino si osserva con perplessità il crescente ricorso da parte italiana all’applicazione di clausole di flessibilità e si vuole evitare che l’iniziativa di ogni Paese non sia regolata nell’interesse comune. Proprio il caso italiano ha messo in evidenza una marcata debolezza negoziale della Commissione. Nei colloqui con i primi ministri, il presidente Juncker è stato posto di fronte all’alternativa tra autorizzare i governi in carica ad allargare il disavanzo con motivazioni sempre nuove oppure favorire i movimenti populisti anti-europei che scardinerebbero del tutto l’unione monetaria. La debolezza delle pratiche di coordinamento centralizzato delle politiche di bilancio ha rafforzato le autorità tedesche nell’intento di decentrare i rischi e depoliticizzare i controlli.
Berlino vuole che i termini della flessibilità vengano definiti sia dalla Commissione sia dal Consiglio dei ministri delle Finanze. «Il ruolo di sorveglianza della Commissione – spiegano al ministero di Schäuble – non deve essere limitato dai compiti politici». Per rendere il giudizio di Brussels indipendente da convenienze politiche, Berlino propone anche di separare le funzioni di sorveglianza della Commissione da quelle di orientamento politico, oppure di staccare le funzioni di controllo e darne competenza a nuove istituzioni indipendenti. A questo fine, il ministero delle Finanze di Berlino considera la proposta già sul tavolo di stabilire un “consiglio fiscale” dell’euro-zona non sufficiente, perché ancora soggetta a pressioni politiche: «Ogni ulteriore procedura che sottragga responsabilità dagli Stati membri per accentrarne la responsabilità è da respingere».
L’insieme delle misure proposte nel progetto di Berlino comporterebbe la riduzione del rischio che i contribuenti tedeschi debbano far fronte ai debiti pubblici e ai problemi bancari degli altri Paesi in modo diretto. La giustificazione teorica evocata dal documento è naturalmente quella di evitare «incentivi sbagliati» (cioè azzardo morale) che portino i governi dei Paesi meno disciplinati ad accumulare debiti pericolosi. Ma più in generale si ritiene che contribuenti più consapevoli dei rischi nascosti nell’indebitamento dello Stato eserciterebbero pressione politica per evitare che i loro governi eccedano nella spesa pubblica. Inoltre sistemi bancari meno inclini a investire in titoli del debito pubblico sposterebbero la loro attività verso il finanziamento dell’economia reale.
In questa impostazione fortemente astratta del funzionamento delle economie europee, una volta ricostruito il sistema di incentivi che favorisce le attività private più efficienti, l’euro-area diventerebbe un ambito più efficiente di politiche pubbliche, con condizioni più attraenti per gli investitori e un mercato unico più aperto. Il documento sottovaluta il ruolo di àncora dei titoli sovrani per il sistema finanziario di molti Paesi europei tuttora sotto stress. Nemmeno prende in considerazione le eccezionali condizioni di fragilità in cui si trovano alcune economie della periferia dell’euro-area dopo anni di recessione e di instabilità finanziaria. Al contrario l’obiettivo di Berlino è di avanzare queste proposte – che è facile prevedere incontreranno una forte resistenza nei Paesi della periferia – come interventi da attuare in tempi rapidi. Solo in un secondo tempo dopo il 2017, conclude il documento, sarà necessario procedere alle modifiche dei Trattati che sviluppino l’integrazione istituzionale e politica europea.