Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 15 Martedì calendario

Valentino Parlato ricorda il compagno Mario Dondero

Ho conosciuto Mario Dondero negli anni ’70 (un po’ più di quarant’anni fa), al Labaro nella casa dei comuni amici Carlo Mascetti e Deila Gra. Mario veniva a cenare e dormire da loro, ma di solito arrivava con l’autostop: l’ora di arrivo non era certa, anzi l’arrivo non era certo.
Una volta, prese un passaggio da un camion che andava al porto di Napoli, Mario decise subito di accompagnarlo e arrivato al porto, dopo aver scattato fotografie, si imbarcò su una nave che salpava per il Sudamerica.
Questo era lo stile di Mario, che però non incideva affatto sul suo impegno culturale e politico, tanto che preferisco chiamarlo compagno.
Mario era stato nella resistenza ed era il fotografo più impegnato della lunga stagione nella quale siamo stati amici.
Con Mario siamo stati insieme a Kabul e c’era anche Vauro: un bel terzetto. Giravamo per le strade di Kabul, curiosavamo (scoprimmo anche uno studio abbandonato del pittore Alighiero Boetti). Poi c’erano le lunghe file di carri armati sovietici abbandonati dopo che i talebani, sostenuti dagli americani, presero il potere in Afghanistan e cacciarono i russi. Quei carri armati mi apparvero come il segno della decadenza di quella che era stata la grande Unione sovietica.
Era il 2004 se non sbaglio, quando noi andammo in Afghanistan, dopo la guerra di Bush. Con Mario andammo nelle prigioni dove erano stati rinchiusi i talebani (prima di essere mandati a Guantanamo) e poi negli ospedali di Emergency dove da subito Mario suscitò, come sempre, questa simpatia particolare che è una chiave di lettura per le sue straordinarie foto. Anche con quei bambini mutilati, feriti dalle mine, che Emergency assisteva, Mario si intratteneva e, in qualche modo riusciva pure a comunicare.
Kabul fu una buona occasione per approfondire la nostra amicizia e, a me, di accrescere affetto e stima per Mario, che è stato un’ importante personalità degli anni che sono alle nostre spalle: le sue fotografie aiutano a capire il mondo di allora e che oggi è diventato pericoloso. Quando insisto a dire che Mario Dondero è un compagno voglio insistere sulla sua personalità ricca: certo un artista della fotografia, ma anche perché era una persona impegnata e attiva nella politica, persona attenta alle differenze sociali e alle politiche che quelle differenze producevano.
Mario Dondero è morto. Ma il compagno Dondero, il suo insegnamento, le sue foto vivono ancora e sono forti.