il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2015
Un altro nero ucciso dalla polizia in America, con conseguenti polemiche
Questo pezzo l’abbiamo già scritto tante volte, e sempre più spesso negli ultimi 16 mesi, dopo l’uccisione di Michael Brown, 18 anni, a Ferguson, Missouri, il 9 agosto 2014, che la storia non ci emoziona più, non ci rivolta dentro: una narcosi della coscienza indotta dalla consuetudine. Se ciò avviene qui da noi, figuriamoci in America: un nero, padre di 3 figli, è stato ucciso da 2 agenti davanti a un distributore di benzina: la centrale aveva ricevuto diverse chiamate, perché l’uomo brandiva una pistola.
I poliziotti hanno esploso 33 colpi: hanno sparato mentre Nicholas Robertson, 28 anni, già ferito, cercava d’allontanarsi, dando loro le spalle; lo hanno colpito quando era ormai a terra, forse morto. La sparatoria è avvenuta intorno alle 11 di sabato nella cittadina di Lynwood, circa 25 chilometri a sud di Los Angeles. Tutto è stato ripreso con un telefonino.
Nel video, di mediocre qualità ma allucinante efficacia, si vedono gli agenti della polizia della Contea mettersi in posizione di tiro a una decina di metri dal ‘bersaglio’; e si sentono i colpi che hanno una sonorità irreale: la scena sembra girata nel vuoto, stile Professione Reporter, proprio come quella del nero di 50 anni, Walt L. Scott, ucciso da un poliziotto mentre scappava, disarmato, a piedi in un parco, a North Charleston, in South Carolina, il 4 aprile.
Forse, è vero che l’elezione di Barack Obama, il primo nero alla Casa Bianca, ha in qualche modo destabilizzato l’America bianca e ha fatto emergere rigurgiti di razzismo, anche là dove non dovrebbero proprio più sussistere, nell’apparato delle forze dell’ordine – il poliziotto è oggi un mestiere da nero, o da ispanico. È un fatto che i casi di neri ammazzati da agenti spesso bianchi si sono moltiplicati, come si sono intensificate le stragi a opera di razzisti bianchi.
L’inchiesta sull’episodio di Lynwood è avviata: la polizia ha diffuso le registrazioni di 3 telefonate al numero di emergenza 911 in cui testimoni segnalavano un uomo che sparava in aria. Secondo una prima ricostruzione, gli agenti hanno intimato a Robertson di gettare l’arma, ma il giovane padre non l’ha fatto, dirigendosi verso la stazione di servizio lì vicina e – lo proverebbe una telecamera di sicurezza – brandendo brevemente la pistola verso gli agenti. In quel momento, è partita la sparatoria.
Robertson, già stramazzato a terra, continuava a impugnare l’arma: lo si vede in un ingrandimento del video. Il che spiegherebbe l’accanimento dei colpi, molti alla schiena: 16 tirati da un agente, 17 dall’altro. Steve Kats, portavoce della squadra omicidi, ha sostenuto che l’individuo era “armato e pericoloso” e “rappresentava una minaccia per gli agenti e la comunità – lì vicino c’erano 2 donne e 3 bambini -. La famiglia Robertson considera “immotivata” l’uccisione: l’uomo sarebbe stato ubriaco.
La vicenda s’innesta sulla campagna elettorale. Donald Trump, eclettico battistrada per la nomination repubblicana, sempre in cerca di facile consenso, aveva appena detto che, quando s’insedierà alla Casa Bianca, imporrà la pena di morte per chiunque uccida un poliziotto. Il numero degli agenti morti in servizio all’anno oscilla, negli ultimi 10 anni, tra i 192 e i 107; quelli uccisi da armi da fuoco tra i 70 e i 43; l’andamento è irregolare e i numeri tendono a decrescere.
Sarebbe gratuito sostenere che le parole di Trump, pronunciate incontrando un sindacato di polizia nel New Hampshire, abbiano indotto nei poliziotti un sentimento d’impunità. Ma è certo che Trump parla alla ‘pancia’ di una fetta d’America e che alcuni candidati più ‘presentabili’, come Ted Cruz, si mimetizzano dietro le sue parole senza farle proprie.