la Repubblica, 15 dicembre 2015
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Luca Toni e Gigi Donnarumma, due eccezioni a confronto
L’uomo che ha vinto i Mondiali afferra il pallone, lo piazza sul cerchio di gesso e prende la rincorsa. Ne ha viste tante, e ancora non gli bastano. L’altro, il ragazzo che sta in porta, di quei Mondiali conosce qualcosa per via di un ricordo vago, il grosso gliel’hanno raccontato. Trentotto anni contro sedici, in mezzo ne sono passati ventidue, che nel calcio equivalgono a due carriere, oppure a una di Totti, a una di Buffon.
Gigi Donnarumma è nato quando già si poteva giocare con il 99 sulla maglia. Non ha mai visto un portiere raccogliere con le mani un passaggio all’indietro e neppure i falli tattici di Sacchi a centrocampo. È un figlio della pay tv. Forse non immagina neppure che uno scudetto si possa vincere fuori dal triangolo Inter-Juve-Milan. Luca Toni invece è nato quando l’Italia era di Bearzot e Bernardini. Ha cominciato a segnare che era ancora vivo Piola ed era in campo nel pomeriggio in cui Sandro Ciotti alla radio disse: «Vi rubiamo soltanto dieci secondi per dire che quella che ho appena tentato di concludere è stata la mia ultima radiocronaca per la Rai, un grazie affettuoso a tutti». Ecco perché quando l’arbitro di Milan-Verona fischia il rigore, siamo dalle parti della guerra dei mondi.
Un conflitto generazionale nell’arco di undici metri. Succede in genere sui campi sintetici dei villaggi al mare, d’estate, quando il capo animatore divide i padri di qua e i figli di là, in serie A di meno, e fuori dal calcio accade ogni giorno. Anzi, se Toni non facesse il centravanti, si sentirebbe dire che per lui e per la Generazione Y non è venuto ancora il tempo, mentre già preme alle porte delle aziende la Generazione Z, i nativi digitali. I Donnarumma. Solo che la Generazione Z nel calcio non esiste. Esistono alcuni ventenni o giù di lì che garantiranno per un po’ ossigeno al nostro calcio: i 20 anni di Romagnoli, i 21 di Rugani Bernardeschi e Berardi, i 22 di Sturaro, i 23 di Baselli e Perin. Sono fiori nel deserto. Il punto non è lo spazio che la serie A negherebbe loro, casomai è vero che i giovani bravi sono pochi perché i ragazzi italiani dal calcio stanno scappando. Gli ultimi dati Figc allarmano. Nella fascia fra i cinque e i sette anni fa calcio il 12% dei bambini: gli altri eventualmente giocano a pallone. Al parco. Fra i quindici e i sedici anni, la percentuale non sale oltre il 19. Nel settore giovanile scolastico in un anno si sono persi 4mila ragazzini.
Se tutti gli amici dei Toni sognavano il pallone, gli amici dei Donnarumma fanno altro. Magari è un bene, magari studiano. Le lauree triennali mostrano segni positivi sia nelle immatricolazioni sia nei 110 e lode. Una ricerca di due anni fa della De Agostini stabilì che fra i desideri dei bambini italiani il mestiere del calciatore è scivolato al quarto posto. Oggi si immaginano chef: è così che va a finire a forza di metterli la sera davanti ai talent. Oppure gli inventori. O i poliziotti. Sarà un caso, ma la nazione in cui si vendono più album di figurine è oggi il Belgio: e qual è il Paese al numero uno del ranking Fifa?
Il conflitto generazionale allora è una partita squilibrata. La palla parte, il rigore entra in porta, l’uomo che ha vinto i Mondiali ne ha vista ancora un’altra e il portierino finisce spiazzato. Non è ancora il tuo tempo, ragazzo.