la Repubblica, 15 dicembre 2015
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Intervista a Luca Marinelli, l’attore simbolo del nuovo cinema italiano che ha paura di diventare pigro
L’attore simbolo della meglio gioventù del cinema italiano vive a Berlino. Luca Marinelli da quattro anni si è trasferito dalle parti di Rosenthaler Platz. Non è un caso di fuga di talenti, il suo. «Vivo qui per stare con la mia signora», precisa con il lieve accento romano che stroncò sul nascere una carriera da doppiatore sulle orme paterne. Sarebbe stato un peccato sottrarre al grande schermo quel viso intenso e affilato, gli occhi bellissimi. Si fa trovare in anticipo in una latteria dai muri sbrecciati, ordina una tisana allo zenzero contro il raffreddore: «Giro in motorino col cappotto e questo è il risultato». Marinelli ha esordito con Saverio Costanzo in La solitudine dei numeri primi, nel 2010. Da allora non ha più sbagliato un ruolo. La consacrazione è arriverà, a trent’anni, con gli ultimi due: il tossico Cesare di Non essere cattivo, film che rappresenta l’Italia agli Oscar, e il villain di Lo chiamavano Jeeg Robot, cinefumetto alla Festa di Roma e in sala a febbraio.
Come si fa a vivere a Berlino e lavorare in Italia?
«Beh, faccio circa due film l’anno. Spero di mantenere la media. Vivere qui ha pro e contro. Ogni volta che lavoro mi devo spostare. Per Non essere cattivo quest’anno ho vissuto due mesi a Ostia».
Tra pochi giorni sapremo se entra nella shortlist per gli Oscar.
«È stata un’esperienza forte. Valerio Mastandrea mi chiama per il ruolo di Vittorio ma Claudio dice che vuole provarmi come Cesare. Che gioia. Facciamo il provino con Alessandro Borghi e la faccia di Caligari esplode in uno dei suoi rari sorrisi. Claudio mi dice: “Sei tu”. Ero fuori di me ma mi sono trattenuto».
Perché?
«Sono timido. È sul palco, sul set che mi sento libero. Claudio mi ha insegnato ad amare il personaggio senza giudicarlo. Gli ho dato amore e profondità. Tutto il film è stato ed è un atto d’amore. Il ricordo più forte è l’ultimo giorno di set, l’applauso a Claudio, il ritorno in macchina con lui, è stata l’ultima volta che l’ho visto. Ringrazierò per sempre Valerio, che è stato benzina forte per il film. Volevamo andare alla Mostra di Venezia, ci siamo riusciti anche se sarebbe stato meglio in concorso. I critici e il pubblico hanno amato il film. In un centro sociale un tizio enorme m’ha abbracciato e detto “grazie”».
Mastandrea la paragona per talento a Elio Germano.
«Dice che sono più grezzo, ed è vero. Io non ho ancora un metodo chiaro di affrontare il film, mi muovo d’istinto».
Ha fatto l’Accademia d’arte drammatica.
«Sì. Prima del provino con Caligari Valerio m’ha sussurrato “Nun je di’ che sei de Prati”. Ma quella romanità, quel dolore di Cesare io lo capisco. È una romanità che il pubblico ama, quella di film come La grande guerra: ridi e alla fine hai un groppo in gola. I miei parenti del nord mi accolgono sempre con: “Ecco il romano”, e ridono».
Nomina spesso la sua famiglia.
«Mio padre è stato il mio eroe da bambino. Aveva doppiato Inigo Montoya, lo spadaccino di La storia fantastica e per me era lui. Una volta mi ha detto che se fosse tornato indietro avrebbe fatto l’Accademia, io l’ho fatta. Da mia madre ho preso la tenacia, mia nonna mi ha iniziato al cinema con i suoi film, da I soliti ignoti a Miracolo a Milano. Da mio nonno ho imparato a pensare in modo diverso: faceva il falegname e i mobili li incastrava, non ci metteva una vite e basta».
Al cinema chi ringrazia?
«Costanzo, che per primo si è fidato di me. Poi Virzì che mi ha dato la seconda grande possibilità, e poi Claudio. Costanzo e Alba Rohrwacher sono stati un incontro forte. Io non avevo fatto cinema, venivo dal teatro con Carlo Cecchi».
Il successo che effetto le fa?
«Un bagno di miele. Ma ho paura di impigrirmi».
Ha appena fatto “Lo zingaro” in “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti. Un cattivo folle, alla Joker.
«Heath Ledger in Batman l’ho guardato trecento volte come si guarda un quadro, per ispirarmi. Ho anche pensato al cattivo di Il silenzio degli innocenti che m’aveva affascinato da bambino».
Nel film canta come Anna Oxa.
«Abbiamo scelto Un’emozione da poco guardando l’esibizione di Sanremo: sembra David Bowie, fantastica. Abbiamo immaginato una giacca che riprendesse quel look: il personaggio la conserva come un costume da supereroe».
Come vive un romano a Berlino?
«Con la sinusite. Ma qui sto benissimo, specie quando s’affaccia un po’ di sole. E ho recitato in un bel film tv tedesco. Faccio un venezuelano e sono il cattivo. È stato l’anno dei cattivi».