la Repubblica, 15 dicembre 2015
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L’algida Boschi non si spaventa: «Non ho mai lasciato una cosa a metà in vita mia, nemmeno un libro»
A dimettersi non ci ha mai pensato. Il ruolo del caprio espiatorio non le si addice. Al centro del gorgo da una settimana, la ministra Maria Elena Boschi resta fedele al personaggio a una sola dimensione che si è costruita in questi 22 mesi di governo: algida, professionale. Persino quando in ballo c’è la sua famiglia, riesce in pubblico a non farsi travolgere. Parlerà, questo è certo. «Risponderò a tutti, ma in aula», promette ai parlamentari del Pd che da ieri hanno iniziato a interrogarla su come difendersi dall’attacco sferrato dall’opposizione con la mozione di sfiducia.
Chi la conosce da tempo non si stupisce di questo distacco, è il suo modo di reagire di fronte alle difficoltà, di mascherare la rabbia. Lo ha confidato in queste ore a un amico: «Non sono una che si spaventa facilmente. E non mollo. Non ho mai lasciato una cosa a metà in vita mia, nemmeno un libro». Appare coriacea, è convinta che alla fine la “verità” sulla Banca Etruria e sul comportamento suo e della sua famiglia, verrà fuori. «Non capisco – si è sfogata in privato le ragioni di attacchi così violenti e gratuiti, ma io sono molto serena: il bene alla fine vince sempre».
Una linea attendista, il giunco che si piega in attesa che passi la piena, condivisa con Renzi nelle ore più drammatiche, quelle della Leopolda. «Il tempo e la verità – ripete il premier ai suoi – stanno dalla nostra parte». D’altronde, spiega Renzi, «che c’entra Maria Elena con Banca Etruria? La mozione di sfiducia è paradossale. Il padre è stato persino multato dalla Banca d’Italia, in cosa lo avremmo favorito con il nostro decreto? Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare».
Il governo, insistono a palazzo Chigi, ha agito per tutelare l’intero sistema creditizio italiano. «Se fossero fallite quattro banche, per quanto piccole, ci sarebbe stato un effetto a catena, una sfiducia generalizzata dei correntisti. Avremmo rischiato una corsa agli sportelli». Nell’incontro di ieri a palazzo Chigi Renzi e Padoan hanno verificato per l’ennesima volta il perimetro massimo di un provvedimento di parziale ristoro dei risparmiatori rimasti incastrati nel meccanismo infernale delle obbligazioni secondarie. Senza nascondersi che un rimborso generalizzato, a carico della collettività, è di fatto impossibile e vietato dalle regole europee.
Ma il buco nero delle banche, la mozione di sfiducia alla Boschi – la prima che verrà votata in parlamento durante il governo Renzi – e il risultato in chiaroscuro della Leopolda, oscurata in gran parte dalle polemiche, portano con sé degli interrogativi che esulano dal caso specifico. E inducono molti tra gli stessi renziani a chiedersi se il «tocco magico» del premier non sia svanito, se la luna di miele con il paese – durata un tempo infinito e sopravvissuta persino alle battaglie sul Jobs Act e sulla Scuola – non sia tramontata definitivamente. Se insomma il premier e il suo governo non siano entrati in una fase discendente della parabola. La domanda al momento non ha risposte, ma l’esigenza di un rilancio è avvertita in primis dal leader democratico. La stessa Leopolda, nonostante ieri Renzi se la sia presa con i giornali, rei di aver dato troppo spazio alle banche ignorando «il record di partecipanti», sembra arrivata al capolinea. «È un format di opposizione – ammette uno degli organizzatori – non funziona ora che siamo al governo. La regista Ercolani è stata bravissima, il problema è la formula». Tanto che la Leopolda numero 6 probabilmente sarà anche l’ultima dell’era Renzi a palazzo Chigi. La numero 7, se ci sarà, sarà frammentata in tante piccole manifestazioni sparse per l’Italia «lo stesso giorno alla stessa ora». Che non è proprio la stessa cosa.
Adesso comunque c’è da concentrarsi sulle ultime due settimane dell’anno, per chiudere limitando i danni dello scandalo Banca Etruria. I grillini, fiutando il sangue, si sono scatenati. Hanno ricevuto l’ordine di non parlare d’altro, di concentrare tutti gli attacchi, tutte le ospitate in tv, tutto il fuoco contro la ministra delle riforme. Il destino della mozione di sfiducia è scontato, la sanno loro per primi. A Montecitorio i numeri sono quelli che sono, senza contare che molti fra gli stessi forzisti stanno segretamente criticando il capogruppo Brunetta per essersi unito al falò della strega «in spregio al garantismo che abbiamo sempre proclamato». Quel che conta tuttavia è picchiare duro sulla donna che finora si è dimostrata il pilastro fondamentale del governo e dell’intero “sistema Renzi”. «Certo – ammette Alessandro Di Battista – avremmo potuto presentare la mozione in Senato, dove i numeri della maggioranza sono risicati e la minoranza Pd è decisiva. Sarebbe stato divertente vedere la Boschi salvata grazie al voto dei verdiniani. Ma si sarebbe scivolati all’otto di gennaio e noi invece la vogliamo discutere subito, prima di Natale». Una fretta giustificata dalle esigenze mediatiche – battere il ferro finché è caldo e dalla segreta speranza che siano in arrivo, come ripete il brusio di Radio Transatlantico, provvedimenti giudiziari sul caso Etruria.
Nel momento di massima debolezza del premier ci si potrebbe invece aspettare un atteggiamento aggressivo da parte della minoranza Pd. Al contrario, sul caso Boschi- Banca Etruria nessuno ha affondato il colpo. Come se ci fosse una consapevolezza diffusa che, se dovesse saltare la ministra delle riforme, salterebbe non solo il governo ma l’onda d’urto investirebbe anche il partito. Con conseguenze devastanti. «Bisogna fare chiarezza – osserva uno dei capi della minoranza – ma non siamo dei pazzi».