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 2015  dicembre 15 Martedì calendario

Banca Marche, così a due anni e mezzo dal crac anche i piccoli risparmiatori sono finiti in ginocchio

Si sono salvati per un pelo, ma non sanno mica perché. Né loro, che il 25 settembre sono stati chiamati agli sportelli di Banca Marche per incassare il rimborso di 36 milioni di euro di obbligazioni subordinate in scadenza, né tutti gli altri piccoli obbligazionisti che, invece, si sono visti bruciare 250 milioni nel crac dell’istituto, il più grande dei quattro messi «in risoluzione» dal governo. I primi si sono salvati, gli altri no, come i 40 mila azionisti di Banca Marche, che il 22 novembre scorso hanno perso tutto. Quanto? Difficile dirlo perché nessuno sa oggi quanto vale la Banca, commissariata da Banca d’Italia da due anni e mezzo. 
L’ultimo bilancio è quello del 2012 e gli ultimi dati patrimoniali conosciuti sono al 30 giugno 2013, approvati dal Consiglio d’amministrazione con i Commissari di via Nazionale fuori dalla stanza e il decreto del Governatore, firmato tre giorni prima, in mano. La gestione del direttore generale Massimo Bianconi, finito sotto processo, presentava il conto. Disastroso. Dopo anni di dividendi d’oro, emerge una voragine. Nel 2011 la Banca chiude in utile per 135 milioni e con un patrimonio netto di 1,7 miliardi. Nel 2012 emerge un buco di 517 milioni, col patrimonio sceso a 1,2 miliardi, poi con la semestrale del 2013 un altro buco, 230 milioni, e il patrimonio scende a 996 milioni. Da lì in poi è buio. 
Le perdite derivano da una verifica delle sofferenze e dalla successiva pesantissima svalutazione. Dal 2006 Bankitalia fa ispezioni in media ogni due anni: tutte si concludono con sanzioni, e tutte comportano una pulizia generale, che però non è mai sufficiente. Tra fine 2012 e inizio 2013 le svalutazioni toccano 1,3 miliardi. La copertura dei crediti dubbi, concentrati su pochi gruppi, viene portata all’80%, un livello ritenuto altissimo rispetto alla media del sistema anche da un’audit interno di Kpmg. A fine 2012 la copertura degli attivi patrimoniali di Banca Marche era del 28,2%, a giugno 2013 sale a 31%, mentre a fine 2013 Ubi Banca sta al 27%, Banco Popolare al 26,5, Popolare di Vicenza al 25,9%. Applicando quelle svalutazioni a tutto il sistema, oggi, emergerebbe un bisogno di capitale fresco di 200 miliardi. 
Fatto sta che a Banca Marche arrivano i commissari, anche per l’incapacità del Consiglio, rinnovato a metà 2012, di prendere decisioni per risollevare la banca. In due anni e due mesi, però, non succede quasi nulla. Non ci sono dismissioni, ristrutturazioni, licenziamenti, cessioni di sportelli. Si tratta un’alleanza con il Fonspa, una banca attiva nel recupero crediti, si studia l’intervento del Fondo interbancario, affidando uno studio a Kpmg per valutare il costo del rimborso delle obbligazioni subordinate rimaste. L’ingresso del Fondo salta, e come un tuono, arriva la «risoluzione». 
I crediti, scontatissimi, vanno alla bad bank, il capitale e le obbligazioni sono azzerate. Le Fondazioni delle casse marchigiane, proprietarie di Banca Marche, non hanno più un euro, e l’onda lunga dello tsunami è attesa, a breve, sul territorio. Eppure, ricorda oggi Rainer Masera, presidente per tre mesi fino all’estate 2013, «la Banca allora si poteva salvare con 450 milioni di Monti bond, ma mi dissero di no». 
A Bianconi, ai consiglieri (ma solo a quelli rimasti fino a metà 2012) e alla società di revisione, i commissari hanno chiesto 282 milioni di danni. I Tribunali della Regione si occupano, ormai, quasi solo degli effetti collaterali della crisi. Ci sono i procedimenti contro i manager e gli amministratori, quelli dei dirigenti licenziati contro la banca, quelli della banca contro le imprese affidate, quelli degli imprenditori contro l’istituto. Avanzano i fallimenti e i concordati preventivi. E due anni e mezzo dopo il crac della banca, anche i piccoli risparmiatori sono finiti in ginocchio.