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 2015  dicembre 15 Martedì calendario

In morte di Armando Cossutta

Fabio Martini per La Stampa
Armando Cossutta è stato ininterrottamente comunista, senza pentimenti, da 17 anni quando prese la prima tessera del Pci in piena guerra mondiale, fino a ieri sera, quando è morto all’età di 89 anni. 
Nella lunga militanza aveva vissuto tre stagioni da protagonista: negli anni Settanta, da dirigente di primo piano del Pci, aveva incarnato l’anima filo-sovietica, ingaggiando polemiche aperte col leader di allora, Enrico Berlinguer, in una stagione nella quale l’uniformità e il centralismo democratico scoraggiavano le dissidenze. Fu protagonista nella fase finale del Pci, alla fine degli anni Ottanta, quando il gruppo raccolto attorno ad Achille Occhetto guidò il partito verso lo scioglimento e Cossutta organizzò la nascita del Partito della Rifondazione comunista, assieme a due eretici diversissimi da lui, l’ex socialista Lucio Libertini e Sergio Garavini, uno dei dirigenti comunisti che avevano votato a suo tempo contro l’espulsione del gruppo del Manifesto dal Pci. E l’ultima stagione da protagonista Armando Cossutta la visse alla fine degli anni Novanta, quando contrastò Fausto Bertinotti, il segretario di Rifondazione che, dopo aver inizialmente sostenuto il primo governo Prodi, ritirò l’appoggio. Una svolta, quella anti-Prodi, non condivisa da Cossutta, che fondò un piccolo partito, il Pdci, decisivo per la nascita del governo D’Alema. Era stato parlamentare fino al 2008, da dirigente del Pdci, che del Pci aveva ereditato il simbolo e successivamente era diventato vicepresidente dell’Anpi, l’associazione dei partigiani di sinistra. L’8 agosto scorso era rimasto vedovo, dopo la morte della moglie Emilia Clementi, l’inseperabile “Emi”, con la quale era stato legato per circa settant’anni e dalla quale aveva avuto tre figli: Anna, Dario e Maura, che era stata parlamentareArmando Cossutta era nato a Milano il 2 settembre del 1926 e si era iscritto al Pci a 17 anni, nel 1943. Partigiano nella brigate Garibaldi, arrestato dai nazifascisti, nel primo dopoguerra aveva iniziato la militanza nel suo partito, uno di quegli ordinati cursus honorum tipici del Pci di quegli anni. Consigliere comunale a Milano a partire dal 1951, in quella circostanza aveva conosciuto un giovane militante socialista, Bettino Craxi, che successivamente avrebbe combattuto politicamente, ma col quale mantenne un rapporto umano.Filosovietico, aiutato dai comunisti russi per contrastare la linea eurocomunista di Enrico Berlinguer, Cossutta si contrappose all’allora segretario comunista, etichettando come «strappo» la politica di autonomia dall’Urss del Pci di allora. Dopo la stagione nel Prc e quella nel Pdci, da lui promosso, alcuni dissapori con l’allora leader Oliviero Diliberto, portarono Cossutta fuori dal partito. Nel 2008 dichiarò di aver votato “da comunista” per il Partito democratico.

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Tommaso Labate per il Corriere della Sera
«Il comunismo», disse una volta, «è come il mitologico Anteo, figlio della terra e del mare, che restava potente e vivo solo fin quando aveva i piedi ben piantati per terra». E Armando Cossutta, che del comunismo italiano orgogliosamente legato a Mosca era uno degli ultimi esponenti in vita, se n’è andato ieri. 
L’ex dirigente del Pci, poi fondatore di Rifondazione comunista e del Partito dei comunisti italiani, è morto all’ospedale San Camillo di Roma. L’anno prossimo avrebbe compiuto 90 anni. Nato a Milano il 2 settembre del 1926, Cossutta era entrato nel Pci nel 1943, in tempo per partecipare alla Resistenza come partigiano della Brigata Garibaldi. Da lì in poi avrebbe costruito una carriera, fatta anche di dieci legislature in Parlamento, tutta all’insegna di quel rapporto con l’Urss, che non ha mai smesso di rivendicare. Rispetto alle accuse di essere l’uomo dell’«oro di Mosca», l’ufficiale di collegamento che portava i rubli del Pcus nelle casse dei comunisti italiani, non ha mai battuto ciglio. «Uomo di Mosca? Io sono italiano. E i russi lo sapevano bene…». Quando crolla il Muro di Berlino, e il Pci si trasforma in Pds, Cossutta si oppone alla svolta di Occhetto e crea Rifondazione comunista. Da lì a qualche anno sarà protagonista di un’altra scissione, che lo vede — a differenza di Bertinotti — tra i sostenitori del governo guidato dal primo ex comunista finito a Palazzo Chigi, Massimo D’Alema. È il battesimo del Pdci. «Caro Armando», gli mandò a dire Indro Montanelli, «c’è qualcosa che ci unisce nel profondo. Siamo gli ultimi due conservatori sopravvissuti in un mondo di pazzi». 
Cossutta lascia il Parlamento nel 2008. Il suo addio alla politica è nella lettera che consegna all’ Unità . «Ora», scrisse, «sarò liberamente comunista». Senza pentimenti, però. «Perché il pentitismo», sosteneva, «non è mai stata una mia vocazione». Al contrario del tifo per l’Inter, l’altra sua grande passione. Che assieme alla falce e al martello ha scandito per una vita intera i battiti di quel cuore che ha smesso di battere ieri pomeriggio.

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Alberto Custodero per la Repubblica
È morto ieri pomeriggio all’ospedale San Camillo di Roma Armando Cossutta, storico dirigente del Pci, vicepresidente dell’Anpi. Aveva 89 anni. Cossutta, interista sfegatato, e appassionato - non a caso - di colbacchi, è stato il più filosovietico dei comunisti italiani, («L’ultimo staliniano d’Italia», era stato definito), fondatore di Rifondazione Comunista dopo la trasformazione del Pci e poi del Partito dei comunisti italiani. Cossutta nel 1943 si è iscritto al Pci. E da allora il comunismo è sempre rimasto il suo ideale.
La sua ultima uscita pubblica, il 14 novembre, all’indomani della strage di Parigi. «Era in Piazza del Popolo alla manifestazione in solidarietà con la Francia – ricorda Gianni Cuperlo, raggiunto da Repubblica, uno dei leader della minoranza dem – Cossutta era accompagnato dalla figlia. Lucido, come sempre. Sono molto colpito dalla sua scomparsa».
Del Pci, Cossutta è stato una delle colonne negli anni in cui il rapporto con Mosca era più forte. Si era iscritto al partito nel 1943 ed aveva partecipato alla Resistenza nelle Brigate Garibaldi. Catturato e condannato alla fucilazione, si salvò soltanto perché i militi del plotone d’esecuzione spararono in aria. Nel Dopoguerra fu dirigente del partito. Fu segretario del Pci milanese e lombardo, per entrare poi in Parlamento nel 1972, restandovi fino al 2006. Filosovietico per antonomasia, nel 1981 si oppose strenuamente alla linea revisionista del segretario Berlinguer, il quale aveva affermato che la «spinta propulsiva» della Rivoluzione d’Ottobre si era esaurita, tentando di sganciare il Pci dai suoi rapporti storici con i regimi comunisti del blocco sovietico. Celebre la sua definizione della linea berlingueriana: «Lo strappo».
Ancora Cuperlo: «Mi viene in mente quella battuta di Berlinguer che alla domanda di Minoli “Che cosa vorrebbe si dicesse di lei?”, rispose: “Che sono rimasto fedele agli ideali della mia gioventù’. Ecco, mi piace pensare che in qualche modo lo sia stato anche Cossutta».
E così è stato: sempre fedele ai suoi vecchi ideali. Contrario allo scioglimento del Pci (alla presentazione del simbolo del nascente Pds raffigurante una quercia, commentò caustico: «Sembra un garofano»), nel febbraio 1991 fondò, con Sergio Garavini, Lucio Libertini ed altri, il Movimento per la Rifondazione Comunista, che nel dicembre dello stesso anno si unì a Democrazia Proletaria formando il Partito della Rifondazione Comunista, di cui fu presidente.
Ma quando nel 1998 Fausto Bertinotti, allora segretario del partito, ritirò la fiducia al governo Prodi, Cossutta si oppose staccandosi dal partito e fondandone uno nuovo, il Partito dei Comunisti Italiani (Pdci), con Oliviero Diliberto e Marco Rizzo. Per contrasti con Diliberto lasciò anche questo partito nel 2006, ritirandosi dalla politica attiva. Nell’agosto di quest’anno aveva perso la moglie Emilia, alla quale era legato da oltre 70 anni.
Per Cuperlo, Armando Cossutta «è stato una personalità della sinistra italiana, del Pci alla quale mi sono legato nel corso degli anni non tanto per le sue posizioni che portavano a una discussione molto viva con il suo partito sotto la guida di Berlinguer. Ma per il carattere di uomo, per la sua passione e lucidità in anni recenti. Aveva dedicato alle ragioni della sinistra, le ragioni della sua esistenza. Aveva lasciato un messaggio che puntava sull’unità della sinistra, su un campo largo della sinistra e questo mi è sempre sembrato in tempi recenti un ammonimento giusto da raccogliere».
Era custode inossidabile del comunismo reale, un compìto signore di sinistra antica al quale Montanelli diceva con garbo complice e affettuoso: «Caro Armando, c’è qualcosa che ci unisce nel profondo. Siamo gli ultimi due conservatori sopravvissuti in un mondo di pazzi».